Ballo e Ballo, astrarre il design: il lavoro in cerchio di Aldo e Marirosa
Studio Ballo+Ballo, 1979: Achille Castiglioni, sedile «Allunaggio», tavolo «Cumano», libreria «Eta Beta» per Zanotta
Alias Domenica

Ballo e Ballo, astrarre il design: il lavoro in cerchio di Aldo e Marirosa

A Milano, Castello Sforzesco Da Sottsass a Castiglioni, da Magistretti a Gae Aulenti, lo Studio fotografico Ballo+Ballo ha documentato (rifuggendo dagli estetismi) la stagione dell’«industrial design» milanese. Una mostra lo racconta
Pubblicato 13 minuti faEdizione del 6 ottobre 2024

E’ semplice verificare, senza dire nulla di nuovo, che la ricerca sulle relazioni della fotografia con la storia del disegno del prodotto industriale può riservare ancora delle sorprese. Sebbene siano stati già tracciati i caratteri generali dell’apporto specifico di quella schiera di fotografi che dagli anni sessanta si sono dedicati con più impegno allo still life di oggetti, mobili e arredi, è tuttora limitata la conoscenza di Attilio Concari, Mauro Masera, Jürgen Rüdiger Becker, Serge «Libis» Libiszewski, Luciano Ferri e Aldo Ballo.

La conferma si ha proprio con quest’ultimo, visitando la mostra (a cura di Silvia Paoli) allestita sino al 3 novembre nelle sale Viscontea e Pilastri del Castello Sforzesco: ballo & ballo, fotografia e design a Milano 1956-2005. L’esposizione dà appieno la misura dell’importanza dello studio di Ballo (Sciacca 1928 – Milano 1994) e Marirosa Toscani (Milano 1931 – 2023) non solo per la qualità raggiunta di metodo e stile, al punto da divenire un modello per le successive generazioni di fotografi, ma anche per il ruolo centrale svolto all’interno del sistema della pubblicità e della produzione industriale del design Made in Italy.

Grazie alla donazione dell’archivio storico al Civico Archivio Fotografico, per la seconda volta, dopo la mostra al Padiglione d’Arte Contemporanea nel 2009 (Ballo+Ballo. Il linguaggio dell’oggetto, a cura di Giovanna Calvenzi e Salvatore Gregorietti), si ha l’occasione di conoscere non solo l’impareggiabile qualità tecnica ed estetica conseguita dallo studio milanese attraverso una serie di scatti di celebri prodotti per la casa e l’ufficio, ma anche – in sei set ideati da Studio Azzurro (al quale si deve la cura dell’intero allestimento) – la «messa in scena» delle diverse fasi del suo lavoro, dall’attività di falegnameria per la scenografia, prima dello scatto fotografico, ai successivi passaggi dello sviluppo e della stampa del negativo, fino alla sua catalogazione e archiviazione.

I Ballo, è bene ricordare, partecipano da protagonisti alle trasformazioni nel campo grafico dal secondo dopoguerra. Trasformazioni che vedono l’artista pubblicitario farsi graphic designer e lo studio-atelier mutare in agenzia strutturata sul modello americano, dove il lavoro creativo si parcellizza e integra con altre funzioni: marketing, pubbliche relazioni, copywriting, oltre quella fondamentale dell’art director.
Sono gli anni nei quali c’è chi, come Franco Grignani, immagina che l’ingresso della fotografia implichi l’«emarginazione» della grafica, giacché per la «composizione pubblicitaria», dirà, è ormai preponderante l’«atto descrittivo» del prodotto, purché sappia «provocare determinati stimoli». Una preoccupazione del tutto infondata se si guarda al sodalizio tra le arti grafiche e la fotografia di quel periodo.

Studio Ballo+Ballo, 1959: Divano «D 70» Osvaldo Borsani per Tecno

La storia dello studio Ballo + Ballo, che si colloca al centro di questa transizione, inizia nel 1950, dall’incontro di Aldo con Marirosa, figlia del fotoreporter Fedele Toscani e sorella di Oliviero. Si sposeranno nel ’53, dopo avere condiviso un breve periodo lavorativo nello studio di Giancarlo Iliprandi, convincendosi presto di volere procedere in autonomia come fotografi professionisti. Gli esordi sono segnati da un’operosità rivolta un po’ ovunque. Sostenuti dai loro amici (Aulenti, Munari, Vignelli) eseguono reportage per enti pubblici (AGIP, Rai), aziende private (Pirelli, La Rinascente, Motta, Philips, Sambonet) e riviste («Comunità», «Urbanistica»). Alla fine degli anni cinquanta, però, i Ballo si dedicheranno solo alla fotografia del prodotto industriale e all’architettura. Dal ’55 al ’60 Aldo documenta il cantiere del Grattacielo Pirelli e molte altre costruzioni divenendo, come poi lo sarà per l’industria del mobile, un riferimento qualificato per gli architetti milanesi: dai BBPR a Caccia Dominioni, da Gardella a Magistretti.

Risale agli anni del «miracolo economico», oltre la definizione della sua sfera di azione, la convinzione di eseguire solo una «fotografia d’uso», ovvero non una «fotografia che puoi fare e attacchi al muro perché è una bella fotografia». L’artistico non lo attrae. È forse questa la ragione della sua scarsa ricezione critica, come bene spiega la curatrice in catalogo (SilvanaEditoriale, pp. 240, euro 34,00). Rifugge, quindi, da qualsiasi forma di estetismo per rincorrere la più oggettiva delle possibilità tecnologiche di ripresa: il solo intento è di restituire l’oggetto nella sua indiscutibile perfezione tecnica e formale. Da qui la carica di astrazione che contengono le immagini degli oggetti, inquadrati con esattezza geometrica dentro il fotogramma con un sapiente controllo delle luci e restituiti con la più alta risoluzione consentita.
Anche nella serie dei ritratti (1979-’81) dei suoi amici architetti e designer, aleggia la stessa «atemporalità»: Sottsass accanto alla lampada «Treetops» (Memphis), Mari seduto sul divano «Pecorella» (Driade), Castiglioni sul sedile «Allunaggio» (Zanotta), Aulenti sul tavolo con ruote (FontanaArte), guardano tutti nell’obiettivo di Aldo, seri e indifferenti nei confronti di ciò che hanno creato, quasi a offrire una versione moderna di sprezzatura.

Il lungo percorso professionale di Ballo&Ballo, segnato per circa un quindicennio, tra la metà dei cinquanta e gli inizi dei settanta, dall’incontro con affermati marchi dell’industria quali Olivetti, Pirelli, La Rinascente, e di incontri con grafici, fotografi, ma anche poeti e letterati (Sinisgalli), approderà nei decenni successivi a delle esperienze originali determinate dalla nascita di nuove aziende capaci di innovare l’ambiente domestico con prodotti poco impegnativi sul piano tecnologico e finanziario che oggi chiameremmo startup di successo. Tra le decine di neonate imprese del design la Danese – fondata nel 1957 da Bruno Danese e sua moglie Jacqueline Vadoz – e la Driade, proprietà della famiglia Astori dal ’68, sono quelle con le quali i Ballo stabiliscono un tale «rapporto di reciprocità e sintonia» che li renderà anch’essi soggetti attivi di quel multiforme «laboratorio estetico» dove oggetti, componenti e mobili di arredo, si qualificano per una nuova filosofia dell’abitare.

Per comprendere però del tutto il valore dello studio Ballo&Ballo occorre citare due momenti: il primo segnalato in catalogo, l’altro presente in mostra. Ci riferiamo al testo di Paola Proverbi, che ci ricorda come l’«imponente corpus fotografico» della famosa esposizione Italy: The New Domestic Landascape al MoMA di New York (1972), «corrispondente dei 180 oggetti selezionati dalla produzione del decennio precedente in Italia», fosse costituito prevalentemente dagli scatti dello studio milanese. Mentre in mostra ci sono i sessanta volti di artisti, fotografi, designer, architetti, amici e assistenti dello studio, che raccontano delle qualità umane e professionali di Aldo e Marirosa. Le interviste raccolte da Studio Azzurro in occasione della mostra al PAC di cui si è detto sopra, rappresentano, nell’efficace disposizione corale dei volti degli intervistati in sei display poggiati su altrettanti piedistalli allineati a curva, il momento più emozionante del percorso espositivo, che dà anch’esso la misura del ruolo centrale che la fotografia di Ballo&Ballo ha svolto nell’ambito del design e dell’architettura: un’officina di inventiva e ingegno dove il «lavoro in cerchio», come amava dire Marirosa, non escludeva nessuno e il rumore dell’otturatore era un’epifania.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento