Il premierato arriva nell’aula del Senato e la premier cambia maschera. Smette i toni da populismo d’annata: «Volete decidere voi o volete che altri decidano per voi?». Sfodera il volto conciliante. Esalta il dialogo anche se nella sostanza avanza come un panzer.

Ordina alla sua truppa parlamentare di evitare forzature per ghigliottinare l’ostruzionismo dell’opposizione, con quasi tremila emendamenti. La riforma sarà votata quasi certamente subito dopo e non prima delle europee. Poco male. Arrivare alle urne con le barricate in aula sarebbe peggio.

L’opposizione invece è sul piede di guerra. La segretaria del Pd, di fronte all’assemblea straordinaria dei senatori, denuncia l’accelerazione dettata «da ragioni elettoralistiche: non potendo rivendicare niente vogliono sbandierare queste riforme pericolose. Chiedo di fare muro con i vostri corpi e con le vostre voci». Le voci in aula, che già si sono fatte sentire. Solo nella discussione generale, successiva al voto sulle pregiudiziali di costituzionalità puntualmente respinte, si sono iscritti a parlare 70 senatori: nove della maggioranza, gli altri dell’opposizione. I corpi entreranno in campo il 2 giugno, per la manifestazione nazionale convocata dalla stessa Schlein a Roma contro il premierato e contro l’autonomia differenziata.

Almeno sulla fretta elettoralistica la segretaria del Pd sbaglia. La premier ha capito di rischiare grosso al referendum e di poter pagare una posizione troppo vistosamente prepotente già alle europee. Dunque ha scelto di fare il possibile per rovesciare sulla controparte l’accusa di essersi blindata. «Io credo nel dialogo ma come si fa con chi vuole fare muro con il proprio corpo? Non si capisce se è una minaccia o una prova di mancanza di argomenti». Colpo su colpo, l’antagonista non si fa pregare: «Che pena e che mistificazione! Gli argomenti li avevamo portati all’unico incontro che il governo ha voluto ma le nostre proposte non sono state considerate».

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Meloni sfoggia il premierato ma snobba il parlamento

Nel lungo intervento al convegno sul premierato organizzato proprio al Senato e proprio ieri, e non si tratta di coincidenza, Meloni, scazzottata con la rivale a parte, evita accenti polemici. Si rivolge direttamente a Luciano Violante, che aveva criticato la riforma nel merito, evidenziandone i limiti, ma si era anche detto assolutamente favorevole alla «democrazia decidente». La pantomima serve a dimostrare che se c’è chi vuole dialogare il governo è pronto: «Non siamo entrati a gamba tesa ma in punta di piedi. Non abbiamo stravolto la Costituzione ma toccato solo 7 articoli. È stata una scelta di dialogo e al dialogo siamo sempre pronti, purché non con intenti dilatori».

Per difendere la sua riforma, anzi la solita «madre di tutte le riforme dalla quale tutto il resto discende», Meloni martella sui temi economici. È l’assenza di stabilità che penalizza il paese e tarpa le ali alla crescita, «altrimenti dovremmo dire che i politici di Francia e Germania, dove la crescita è stata di 20 punti fino al Covid e non di quattro come da noi, sono molto migliori dei nostri e non è così». Stabilità vuol dire sviluppo, investimenti, possibilità di mettere in opera strategia di lungo termine. Il premierato, giura la madrina del medesimo, serve a questo.

I poteri del presidente? «Abbiamo scelto di non toccarli. Non nomina più il premier e non scioglie le Camere ma non lo fa neppure oggi con maggioranze stabili. Quando lo deve fare esercita un ruolo suppletivo che non rafforza il suo ruolo». Per evitare la supplenza il potere di sciogliere le Camere, cioè la prerogativa essenziale del Colle, passerà direttamente al premier. Lo specifica l’emendamento del governo che «chiarisce» la norma antiribaltone, effettivamente ambigua: in caso di sfiducia sarà il premier a decidere se passare il timone a un esponente della stessa maggioranza o tornare alle urne. Cosa resti da fare al capo dello Stato non viene detto: il messaggio di fine anno, probabilmente.
Il cinguettio con Violante tocca anche il ruolo del parlamento. L’ex presidente della Camera è stato infatti uno dei pochi a segnalare che il vero colpo micidiale sta nel trasformare la Repubblica in «semiparlamentare». «Questo sì che mi interessa», replica Giorgia la Dialogante. Ma a soffocare il Parlamento, afferma, è stata la decretazione d’urgenza non l’elezione diretta: «Io a rafforzare il potere legislativo del parlamento ci sto. Parliamone». Magari sarebbe stato il caso di pensarci e provvedere prima di scrivere un testo che decapita il poco che resta del parlamentarismo.