«Non tutti sono condannati a essere intelligenti» amava ripetere Carlo Emilio Gadda. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha infatti deciso di far organizzare alla maggioranza un grande convegno alla Camera sul premierato elettivo, con il suo più ampio intervento su questa riforma, proprio nel giorno in cui il ddl Casellati ha iniziato il proprio iter nell’Aula del Senato. Un modo neanche troppo celato di sminuire il peso del Parlamento. In qualche modo anticipando lo spirito stesso del premierato che Meloni ha detto di voler approvare, visto che le opposizioni – a suo modo di vedere – non sono disponibili al dialogo.

IN SENATO in mattinata si è consumata quello che a questo punto è risultata essere solo sbiadita liturgia. Il ddl Casellati ha iniziato il percorso a Palazzo Madama con il voto su tre pregiudiziali presentate da Avs, Pd e M5s. Tutti e tre i documenti hanno sottolineato che la riforma contraddice il principio costituzionale cardine della separazione dei poteri, visto che il Parlamento sarà eletto a traino del premier, facendo sì che nelle mani di questi finiscano anche i poteri di eleggere il Presidente della Repubblica, i cinque giudici della Corte costituzionali e i membri laici del Csm. Ovviamente la maggioranza ha bocciato le pregiudiziali, sulle quali Iv si è astenuta, non ritenendo incostituzionale il ddl Casellati, seppur non condivisibile. Una scelta curiosa, ha osservato in Aula Dario Parrini (Pd), dato che Matteo Renzi ha definito il ddl Caselalti uno «schifezzellum».

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TUTTAVIA TUTTE LE OPPOSIZIONI hanno presentato emendamenti, che hanno raggiunto quota 3mila (1.300 il Pd, 1.400 Avs, 180 M5s, 30 Azione, 14 Iv). Per la maggioranza non sarà dunque una passeggiata. Anche perché gli iscritti in discussione generale sono 78 e l’Aula è impegnata a esaminare anche altri provvedimenti, in primis il decreto sul superbonus. È arrivato anche un emendamento del governo che ha riscritto l’articolo sulla gestione delle crisi di governo; un drafting più linguistico che di sostanza, dato che il testo portato in Aula – per come era stato scritto – prevedeva che il presidente della Repubblica potesse reincaricare il premier eletto anche in caso di morte.

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DURANTE LA PAUSA tra la seduta del mattino e quella del pomeriggio si è poi svolta l’assemblea dei senatori del Pd, a cui ha partecipato Elly Schlein. L’impressione è che la segretaria Dem abbia scelto un’occasione pubblica per anticipare il suo non possumus al ddl Caselalti in vista del maxi-convegno del pomeriggio con Meloni. E in effetti così è stato. Schlein ha rilanciato gli argomenti già esposti in Aula dai suoi senatori per esprimere «una contrarietà netta e chiara», ringraziando i senatori che in aula si stanno opponendo «con la voce e il corpo» al premierato elettivo. Nel convegno alla Camera l’ospite di casa, il presidente Lorenzo Fontana, non ha voluto entrare nel merito e ha «ribadito la necessità di ricercare il più ampio consenso delle forze politiche affinché il disegno di legge possa essere votato dal maggior numero di parlamentari possibile. Occorre recuperare l’approccio dei Padri costituenti, assicurando tempi adeguati al dibattito e all’approfondimento di un tema cruciale per il futuro del Paese». Un modo di dire al governo «scordatevi di agire come con l’Autonomia, portata blindata alla Camera e per di più con tempi di esame strettissimi».

AL CONVEGNO è stato invitato anche Luciano Violante, che al di là delle falle del ddl Casellati esposti dal professor Francesco Clementi, ha indicato il punto critico di fondo. Oggi il presidenzialismo (nelle sue declinazioni) è in crisi in tutti i Paesi che lo hanno come forma di Stato, a partire dalla vicina Francia: «Viene eletto presidente il candidato che al primo turno ha avuto il 25%, ma che aveva il 75% dei cittadini contro e ha un conflitto sociale permanente. Non è un sistema politico forte, ma debole». Nel non brillante, e lungo, intervento la premier Meloni ha preso spunto dall’invito di Schlein ai senatori Dem di usare i propri corpi per opporsi al premierato, per poter così confermare che il governo porterà avanti il premierato «visto che non c’è volontà di dialogo. Sarebbe un errore da parte della politica indietreggiare e gettare la spugna di fronte a questo atteggiamento ideologico».