Armani, la semplicità contro il conformismo
Trentadue anni fa il manifesto intervistò Giorgio Armani, e non furono poche né lievissime le polemiche e i rimbrotti che accompagnarono quella iniziativa, quasi fosse una resa al consumismo più […]
Trentadue anni fa il manifesto intervistò Giorgio Armani, e non furono poche né lievissime le polemiche e i rimbrotti che accompagnarono quella iniziativa, quasi fosse una resa al consumismo più […]
Trentadue anni fa il manifesto intervistò Giorgio Armani, e non furono poche né lievissime le polemiche e i rimbrotti che accompagnarono quella iniziativa, quasi fosse una resa al consumismo più bieco che in quel decennio cominciava ad avanzare. Oggi che sembra passato un secolo, e che davvero siamo tutti assediati e rintronati da lucine e luccichii, e lo stilista milanese compie ottant’anni, è solo aumentata la dose di rispetto e di stima per lui. Perché grazie a lui, al suo occhio blu e glacialmente clinico (salvo sciogliersi in grandi sorrisi quando ne vale la pena) è davvero cambiata la storia delle nostre visioni, nell’immaginario come per strada.
Tanto da dover riconoscere in lui un vero grande trasformatore del costume (in senso letterale) e del gusto degli italiani, come certi architetti il cui design è divenuto quotidiano strumento d’uso e di lavoro. Non è stato facile all’inizio, come spiega n questa pagina Michele Ciavarella, perché Armani ha lavorato forte in sottrazione, togliendo ammennicoli fasulli e falsa sensualità all’immagine di uomini e donne, a quella che era una eredità farlocca di borghesie tanto losche quanto affluenti. Ha «semplificato» drasticamente abiti e corpi di persone normali, con un concetto raro e inusuale di rispetto e accettazione per la nostra fisicità. Una piccola «rivoluzione copernicana» rispetto alle gerarchie, e alle eccedenze e agli eccessi, di una classe dominante arrogante e anche cafona.
Armani ha cambiato il gusto di tutti, ha insegnato a vestire con semplicità senza rinunciare alla voglia di piacere e di sedurre, e soprattutto lo ha fatto creando linee e capi, che certo avevano il proprio costo e il proprio valore di mercato, ma certo erano più abbordabili rispetto a certe esclusività che non temevano il ridicolo.
Oggi tutto questo sembra un valore acquisito, anche se azzardi e cafonaggine continuano a prosperare. Ma curiosamente quello che si può definire, per la nostra industria e per le nostre abitudini, il «re della moda» ha insegnato a tutti (predicandola con i suoi modelli) la sobrietà. Nella sua discrezione, forse è stato meno presente sulle ribalte che non fossero professionali, in questi anni berlusconiani che come una bordata dilavante ha contaminato la vita e il gusto di un intero paese. Ma è stato tanto coraggioso prima, per più di un trentennio, che può continuare a godere della vista delle sue scelte applicate.
Pochi ne hanno ereditato la carica innovativa e costruttiva, anzi pochissimi, basterebbe una mano a contenerli. Del resto lo stesso Armani ha insegnato che lo stilista non è un tiranno, e ognuno è libero di apportare la piccola modifica del proprio gusto per sentirsi «elegante» e a suo agio. Oggi che dai manager in abito scuro alle soubrettes scollacciate in tv, dilaga un permissivo e identitario conformismo, la sua «semplicità» resta di ineguagliabile fantasia creativa.
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