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Aria, acqua, biodiversità: l’ecocidio di Gaza

Una discarica di rifiuti a Khan Yunis a Gaza foto ApUna discarica di rifiuti a Khan Yunis a Gaza – Ap

Ecocidio in Palestina Il nuovo rapporto della ong palestinese al-Mezan sulla distruzione dell'ambiente nella Striscia: «L’esercito ha distrutto i terreni agricoli al punto da minacciare la vivibilità»

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 22 ottobre 2024

La terza settimana di assedio totale nel nord della Striscia di Gaza è appena cominciata. Dal 6 ottobre l’esercito israeliano ha inasprito gli attacchi, bombardando gli ospedali e distruggendo interamente alcuni blocchi di case a Beit Lahia, quel che resta di una piccola città a nord di Jabaliya.

Come in altre aree della Striscia, l’attività agricola a Beit Lahia era centrale: fragole, fichi, alberi di agrumi. La superficie agricola di Gaza si estende per quasi 170 chilometri quadrati, circa il 41-47% della sua superficie totale.

«Dall’ottobre 2023 l’esercito israeliano ha sistematicamente preso di mira e distrutto i terreni agricoli di Gaza, causando una tale distruzione ambientale da minacciare la vivibilità», denuncia l’ong palestinese Al Mezan nel suo rapporto “Ecocidio: la deliberata e sistematica distruzione dell’ambiente a Gaza da parte di Israele”.

A SETTEMBRE di quest’anno, «il 68% delle coltivazioni a Gaza ha mostrato un declino significativo», secondo l’ultima rilevazione del Centro satellitare delle Nazioni Unite (Unosat) e dell’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao). Da marzo 2024, inoltre, Forensic Architecture stima che il 40% della terra di Gaza utilizzata per la produzione alimentare è stata distrutta. 

Da Rafah a Beit Hanoun, Israele sta cancellando la biodiversità dei territori palestinesi, distruggendo le aziende agricole e provocando la morte di molti animali da allevamento, oltre a importanti perdite economiche.

È questo il risultato di «bombardamenti, operazioni militari, attività di veicoli pesanti e radiazioni», e le sostanze rilasciate potrebbero infiltrarsi nel suolo «formando un un mix dannoso» che colpirebbe i terreni agricoli e le acque sotterranee. Le sostanze tossiche entrerebbero così nella catena alimentare e metterebbero a rischio la salute degli esseri umani, più di quanto non sia già compromessa. 

Questa devastazione non è cominciata il 7 ottobre 2023. Negli anni precedenti «meno del 3 percento dell’acqua di Gaza soddisfaceva gli standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per il consumo umano», come si legge nel rapporto.

PRIMA dell’inizio del genocidio in corso, le fonti primarie di acqua potabile a Gaza erano le acque sotterranee – prelevate grazie a una rete di pozzi – e l’acqua acquistata da Mekorot, l’azienda idrica nazionale israeliana, che forniva circa 17 milioni di metri cubi d’acqua all’anno. «180 chilometri di reti idriche sono già stati distrutti in tutto o parzialmente» e «203 dei 319 pozzi di acqua freatica sono stati messi fuori servizio a causa di danni totali o parziali, o perché sono diventati inaccessibili e non possono più essere utilizzati», denuncia l’ong palestinese.

Non è possibile calcolare i danni totali agli impianti idrici, ma la fornitura da Mekorot è stata completamente sospesa per ordine del Ministro della Difesa israeliano il 9 ottobre 2023 e l’acqua a disposizione a Gaza è diminuita di circa il 70 percento.  Già nel  2022 il consumo medio giornaliero di acqua dolce per un palestinese a Gaza era di circa  84,6 litri, rispetto ai 300 litri al giorno per un cittadino israeliano.

E la situazione peggiora: «A marzo 2024, l’Ufficio centrale di statistica palestinese (Pcbs) e l’Autorità idrica palestinese (Pwa) hanno riferito che i palestinesi di Gaza avevano accesso a soli 3-15 litri d’acqua al giorno pro capite, evidenziando il grave declino della disponibilità idrica». 

Oltre alla qualità e quantità d’acqua a disposizione, il genocidio israeliano ha compresso il sistema di smaltimento dei rifiuti a Gaza, «fondamentale per la salvaguardia dell’ambiente e della salute pubblica». Gaza ha due discariche principali, Juhor ad-Dik e al-Fukhari, che da 17 anni hanno un limitato l’accesso ai macchinari essenziali a causa del regime di chiusura di Israele.

«LA POPOLAZIONE di Gaza genera oggi circa 2.000 tonnellate di rifiuti al giorno», spiega Al Mezan. Circa 710mila tonnellate «tra rifiuti domestici, umani, fognari e sanitari pericolosi si sono accumulati a Gaza, sparsi in 190 discariche inadeguate e vicine alle aree residenziali, ai campi per sfollati. Questa situazione ha contribuito alla diffusione di malattie e parassiti, rappresentando una significativa minaccia per l’ambiente e la salute pubblica».   

A questo si aggiunge l’inquinamento dell’aria. Nel gennaio 2024, un gruppo di esperti ha calcolato che le emissioni di CO2 previste per i primi 60 giorni di genocidio israeliano a Gaza erano superiori alle emissioni annuali di 20 singoli Paesi e territori.

Questo impatto ambientale si estende al di là di Israele e della Palestina, interessando paesi vicini come Libano, Siria, Giordania, Egitto e altri paesi dell’area mediterranea. La ricostruzione di Gaza non sarebbe semplice, tanto meno sostenibile, visto che comporterebbe una massiccia impronta di carbonio.

«L’ECOCIDIO e il genocidio sono profondamente interconnessi, in quanto la distruzione deliberata e sistematica dell’ambiente può servire come strumento per distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Questa connessione evidenzia il grave impatto che il degrado ambientale può avere sulla vita umana», conclude Al Mezan.

Quel che resterà di Gaza potrebbe diventare un luogo invivibile per le generazioni future, dunque. L’articolo VIII della Convenzione sul genocidio sottolinea la necessità di prevenire, ancor prima che reprimere, qualsiasi atto genocida. E su questa base anche l’ecocidio, prima che sia troppo tardi per Gaza del domani. 

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