Con il «Codice Salvini» gli appalti fino a 150 mila euro potrebbero andare «a un cugino o a chi ha votato». La battuta di Giuseppe Busia, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), ieri è stata efficace. «Si dice non consultate il mercato, scegliete l’impresa che volete – ha aggiunto – il che vuol dire che si prenderà l’impresa più vicina, quella che conosco, non quella che si comporta meglio». «Attenzione a spostare l’attenzione solo sul “fare in fretta”, che non può mai perdere di vista il ‘fare bene».

LA STRONCATURA dell’Anac è una buona introduzione alla «filosofia e all’impostazione culturale» – così l’ha definita ieri il ministro leghista alle infrastrutture e ai trasporti Matteo Salvini – del nuovo codice appalti da 229 articoli varato due giorni fa dal Consiglio dei ministri. «Chi si lamenta che sia un favore a corrotti e corruttori si sbaglia – ha detto Salvini – Non diffidiamo per partito preso delle imprese e dei sindaci. Un semplice avviso di garanzia in un paese civile non è una sentenza di condanna». Il «suo» codice appalti «scommette sul sistema industriale italiano». E alle proteste della Cgil ha risposto che «se sciopera allora significa che il nuovo codice è fatto bene».

LE PRIME SCHERMAGLIE polemiche si sono concentrate sull’«appalto integrato»: l’affidamento della progettazione e dell’esecuzione dei lavori allo stesso operatore economico. È stato previsto il ricorso al subappalto a cascata e senza limite. Così aumenterà la precarietà dei lavoratori e si frammenterà il sistema. La tecnica era stata vietata in precedenza, ma è tornata d’attualità con il Covid. La dichiarazione dello stato di emergenza è stata usata per neutralizzare la gara nei lavori pubblici. Il «piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr) è stato usato per consolidare l’«appalto integrato». È la shock economy: l’emergenza diventa regola, si derogano le leggi, via i controlli, aumentare i profitti. Sempre in nome della «concorrenza».

IL «SUBAPPALTO a cascata» è denunciato dai sindacati. Secondo l’Usb, per esempio, questo porterà alla «giungla». «Mentre fino ad oggi un lavoro in subappalto non poteva essere oggetto di un ulteriore subappalto, con il nuovo codice non sarà più così e la Stazione appaltante potrà procedere ad una sequela infinita di cessioni di lavori ad altre imprese – sostiene il sindacato di base – Un meccanismo che favorirà la nascita di scatole vuote, senza dipendenti e create solo per appaltare lavori, e che porterà ad una ulteriore frammentazione del sistema. Così si fa larga non solo alla corruzione e alle infiltrazioni mafiose, ma si rinuncia all’idea che la P.A. svolga una funzione di governo mettendo lo Stato nelle mani delle imprese».

L’ALTRO OBIETTIVO è accelerare gli appalti di piccolo e medio importo. Nel 2021, secondo Anac, le stazioni appaltanti hanno promosso 62.812 procedure per l’assegnazione di lavori pubblici del 2021, 61.731, cioè il 98,7%, sono state relative a gare di importo inferiore a 5 milioni di euro, al di sotto della soglia prevista dal nuovo «Codice Salvini», cioè 5,38 milioni, dalla quale scatterà d’ora in poi l’obbligo della gara. Parliamo di un valore pari a 18,9 miliardi di euro. Per Alessandro Genovesi (Fillea Cgil) il 70-80% dei prossimi appalti regolati dal «Codice Salvini» saranno assegnati senza gara. Si formeranno a suo avviso le «liste fiduciarie» che ricordano «Tangentopoli». «Avremo più cartelli, meno concorrenza, più corruzione». Un riferimento non casuale: usare le risorse, gli appalti per garantire agli uni i profitti e il consenso alla partitocrazia.

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L’ASSOCIAZIONE dei costruttori Ance si è detta «perplessa». Il «codice Salvini» «potrebbe sottrarre al mercato il 36% del volume dei lavori pubblici». Per l’Associazione Nazionale Forense ci sarà l’esplosione del contenzioso a causa della «soppressione del registro in-house gestito dall’Anac». La modifica è «pericolosa» perché non permetterà di «controllare se il soggetto una commissione pubblica fuori dal mercato fa concorrenza sleale». Per il Consiglio nazionale degli architetti l’«appalto integrato» ha già prodotto «enormi contenziosi tra imprese e stazioni appaltanti, opere incompiute e risultati del tutto deludenti» e conserva la «possibilità di accettare prestazioni gratuite». Il lavoro, dunque, non peggiorerebbe solo per chi sta nei cantieri, ma anche per chi progetta le opere.

DAL GOVERNO fanno di tutto per fare credere che siano i tempi dei controlli, e le modalità delle gare, a rallentare i lavori. Ma questa idea è stata messa in dubbio dalle associazioni imprenditoriali secondo le quali le gare non sono il principale problema nell’esecuzione dei lavori pubblici. Tuttavia si resta fermi al principio neoliberale: le regole rallentano, i diritti non sono nemmeno citati, i lavori vanno velocizzati, i profitti faranno «crescere» il paese. La sintesi l’ha fatta Meloni ieri alla Confapi: lo Stato «regola» il mercato ed è «amico di chi fa impresa». Parole vuote che indicano il contrario: la regolazione sregola, la sburocratizzazione che riburocratizza, la concentrazione delle ricchezze scambiata per crescita economica.