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Antonio Prete, lo sguardo silenzioso del vivente

Antonio Prete, lo sguardo silenzioso del vivente

Frammenti A proposito della ultima raccolta poetica, «Convito delle stagioni» per Einaudi

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 31 agosto 2024

Ci sono ancora grandi intellettuali in Italia, noti o meno noti? Sì, sono pochi, ma uno di questi è certamente Antonio Prete. Ha più o meno i miei anni («classe» 1939, nato nel meraviglioso Salento dei Bene e dei Bodini), è un poeta, insegna, credo, alla Normale di Pisa e nei suoi versi non si «illumina di immenso» come i professori e le professoresse che scrivono poesie ma ne leggono e studiano ben poche.

La sua ultima raccolta (Convito delle stagioni, Einaudi) conferma il suo valore, ma prima di accennarne vorrei ricordare che gli scritti di Prete su Leopardi sono tra le cose più dense e più nuove sul grande recanatese, e che tutti i suoi saggi critici sono importanti. Peraltro, come Leopardi, Prete è tanto poeta quanto filosofo, e la sua è una poesia di pensiero, oggi più importante che mai.
Concerne la natura già dal titolo, quella vegetale e quella animale, quella astrale e quella «storica», cercando di penetrare cautamente, con il verso, nella sua anima visibile ma anche meno visibile – nella sua continua vitalità e mutazione, il giorno e la notte, gli alberi e gli animali… Ma «di là del sipario» del vedibile udibile comprensibile, «il mondo corre verso la sua sera»; e nel mentre «nessuno può ascoltare la musica / degli oceani. O contemplare la gloria / siderale. Le dune, increspate dal vento, / non hanno alcun disegno d’orma umana. / Le estati incendiano rovine di metropoli. /Nessuna chiatta naviga sui fiumi (…) La primavera c’è ancora / senza il nome / di primavera…» E «una voce» così conclude: «Come difendere quel che rimane / dalla terrestre perduta integrità?»

Non sono un critico di poesia, ma ne leggo abbastanza, di vecchia e anche di nuova, e tra questa, oggi, capita ben raramente di fermarsi su un verso, di sottolineare con la matita, di tornare indietro a libro finito. Cosa si aspetta a riconoscere in Antonio Prete uno dei pochi nomi della cultura italiana di oggi che merita premi e rispetto? Non va in tv, mi sembra che scriva molto raramente sui giornali, non si guarda allo specchio e non si «illumina di immenso», ma l’immenso esplora nel concreto delle sue espressioni naturali, tra racconto del presente e delle sue tante ombre, cercando ancora oggi, di esplorare investigare ascoltare, di attraversare attivamente e direi quasi religiosamente il vivente. E questo ci è ancora possibile se non ci si accontenta delle superfici. È possibile anche ascoltare il silenzio, se non si è supini e complici del rumore (e dell’abuso della cultura come superficie e non come sostanza).

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