Visioni

«Animal Farm», la ricerca di un’opera capace di interpretare il contemporaneo

«Animal Farm», la ricerca di un’opera capace di interpretare il contemporaneoUna scena da «Animal Farm» – foto di Ruth Walz, Dutch National Opera

Opera Alexander Raskatov adatta George Orwell. Il libretto, a cura del compositore, per la regia di Damiano Michieletto, lavora su un linguaggio complesso, l’originale critica allo stalinismo si declina al presente

Pubblicato più di un anno faEdizione del 17 marzo 2023
Andrea PennaAMSTERDAM

Dopo alcuni adattamenti per la scena teatrale, per il cinema d’animazione, la tv e il fumetto, Animal Farm di George Orwell è approdato sul palcoscenico dell’opera, in una nuova creazione di Alexander Raskatov, con la regia di Damiano Michieletto, a cui si deve l’idea di partenza. Il palcoscenico è di nuovo quello di Amsterdam dove nel 2009 Raskatov si era imposto a livello internazionale con Cuore di cane, tratto dal racconto di Bulgakov e circolato in vari teatri europei fra cui La Scala di Milano.

Con Animal Farm, di cui Raskatov cura il libretto in collaborazione con Ian Burton, il compositore approfondisce la ricerca di un linguaggio operistico complesso e originale ma anche rispondente alle urgenze della nostra contemporaneità. Settant’anni compiuti il 9 marzo scorso, nato a Mosca pochi giorni dopo il funerale di Stalin e trasferitosi all’Ovest già negli anni ‘90, Raskatov con Animal Farm torna ancora una volta sul tema del totalitarismo con una partitura in cui coesistono una tagliente chiarezza narrativa e una florida ricchezza espressiva, grazie alla cangiante varietà timbrica dell’orchestrazione, ben dipanata da Bassem Akiki alla guida dell’Orchestra da Camera Olandese. L’intreccio di rimandi stilistici include pulsazioni ritmiche della scrittura di Schnittke e Sostakovic, acuminati passaggi polifonici, allusioni a Berg, il canto corale patriottico sovietico e perfino straniati echi minimalisti.
Le voci variano dal declamato brutale di Napoleone – l’imponente Misha Kiria – il maiale che nella fattoria si fa despota assoluto, alle colorature di sapore ligetiano della puledra Mollie – Holly Flack – e con molteplici screziature nel canto ora frammentato ora spiegato degli altri animali e degli umani, a partire dalla coppia dei fattori, Mr. e Mrs. Jones, Marcel Beekman e Francis van Broekhuizen.

ACCANTO agli sconfitti, lo Snowball teso di Michael Gniffke o il sonoro Boxer di Germán Olvera, cantano i sopraffattori come il micidiale corvo Blacky dai melismi rochi, Elena Vassilieva, compagna di vita del compositore, o lo Squealer di James Kryshak, che allude a Beria, per cui Raskatov ha creato la scena con la cantante Pigetta, l’acutissimo Karl Laquit.
Lo spettacolo di Michieletto, con scene di Paolo Fantin, costumi e maschere di Klaus Bruns, sottolinea la scelta di concentrare la vicenda sui carnefici, trasformando la fattoria in un mattatoio: l’ineluttabilità dello sfruttamento e della morte, con le pareti insanguinate dai comandamenti rivoluzionari, via via corretti e distorti da violenza e propaganda, proietta l’originale critica allo stalinismo sulla realtà di un presente che sembra ripetersi senza speranza fra autocrazie e mercato onnipotente. L’inclusione nel libretto di sala della dolorosa prefazione redatta da Orwell all’edizione ucraina del 1947 ne è un chiaro segnale. Pubblico convinto, applausi in piedi a ogni recita. Stasera ultima rappresentazione ma l’opera andrà poi a Vienna, Helsinki e, per fortuna, a Palermo.

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