Visioni

Uno sguardo oltre l’apparenza per cogliere la Storia in divenire

Uno sguardo oltre l’apparenza per cogliere la Storia in divenire

Angela Ricci Lucchi È morta ieri l’artista e cineasta che insieme al compagno Yervant Gianikian ha attraversato il ’900 cercando di dare forma visibile ai suoi conflitti

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 1 marzo 2018

Non mi piace mai quando si parla di sé ricordando qualcun altro che è andato via, ma parlare di Angela Ricci Lucchi è non solo scrivere di una magnifica artista contemporanea che è mancata ieri, ma di un’amica, di qualcuno la cui presenza proprio come la sua arte fa parte della mia vita da tantissimo tempo, da quando cioè nei primi anni Novanta, grazie a un’edizione di Taormina cinema di Enrico Ghezzi avevo scoperto il lavoro di Ricci Lucchi e Gianikian allora come oggi in Italia poco visibile, nonostante i successi internazionali, retrospettive al Moma o al Beaubourg.

Erano immagini tra il film d’avanguardia e l’installazione artistica, il cinema e la pittura, gli archivi, quelli recuperati in giro per il mondo che Angela «ricolorava» fotogramma per fotogramma e i propri, le storie di uno e dell’altra che si erano abbracciate in un progetto comune di vita e di esperienza artistica il giorno che si erano incontrati complice una rosa. Un catalogo del Novecento, sempre mobile, attento a non essere semplicemente «repertorio» ma che di quei materiali del passato vuole cercare le cicatrici, restituire una visione in cui si coglie l’andamento della Storia nel suo divenire, le ripetizioni, i conflitti che tornano con nuovi aspetti ma con le stesse radici.

Angela è nata a Lugo di Romagna, nella regione comunista del Pci, il cui tramonto raccontano con precisione nel ballo malinconico di una festa dell’Unità nel 1989 (Dancing in the Dark), l’anno in cui cade il Muro di Berlino. Yervant ha un padre armeno, sopravvissuto all’olocausto dei turchi (che non lo hanno mai riconosciuto), anche questo un riferimento che torna spesso nelle loro opere (Ritorno a Khodorciur. Diario armeno). Ciascuno ha condiviso il proprio bagaglio, Angela la pittura, gli studi a Vienna con Kokoschka, Yervant l’architettura, una manualità del fare – che maneggia le immagini (dipingendo, montando, ritagliando gli archivi) in modo quasi fisico.

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Gli inizi sono stati i film profumati, che oggi non potrebbero più essere mostrati al cinema – in un braciere si bruciavano le essenze durante la proiezione – portati on the road negli anni Settanta in America condividendo avventure con l’underground di allora. E poi i «cataloghi», la «camera analitica» per leggere ancora meglio e con più precisione tra le linee di ogni fotogramma degli archivi. Insieme, consapevoli di essere parte di un flusso storico Ricci Lucchi e Gianikian hanno attraversato il Novecento nei suoi conflitti provando a dargli una forma visibile; il fascismo, (Pays barbare) la Prima guerra mondiale (Oh uomo!, Su tutte le vette è pace), il colonialismo (Tourisme vandale), i Rom in Lombardia dopo la guerra, una cartografia dell’occidente di guerre, genocidi, stermini che sono le stesse del nostro tempo.

È difficile parlare di Angela separandola da Yervant, perché appunto la loro è un’opera comune ma il tratto di Angela è riconoscibile e personalissimo negli acquerelli che delle immagini dei loro film (o installazioni) sono quasi il controcampo narrativo, la finzione di un racconto altrimenti impossibile. Nel loro lavoro più recente, presentato a Kassel Documenta, Viaggio in Russia, insieme ai video c’era un lunghissimo rotolo realizzato da Angela, metri e metri di acquerelli col suo tratto fiabesco in cui scorrono le vicende dell’avanguardia russa, i poeti, gli artisti, Berberova Cechov, Anna Achmatova, Slovskij, Puskin, Mandel’stam perseguitati, censurati, imprigionati, costretti all’esilio dal regime sovietico.

La Russia è una passione di entrambi, forse per quelle loro origini, Lugo e l’Armenia, un terreno su cui hanno lavorato a lungo, che doveva essere al centro del loro nuovo film, Nos voyages en Russie, I nostri viaggi in Russia, divenuto poi l’installazione per Documenta; forse perché un film era impossibile su quei materiali che più di altri rivelano il metodo e il laboratorio degli artisti, la «vita al lavoro» che non può essere rinchiusa e che nell’installazione ci vengono mostrati tutti insieme, con le loro diverse possibilità.

Nelle conversazioni che hanno in Russia tra l’89 e il 90, con Valia Kozintsev – moglie di Grigori Kozintsev (regista che aveva fondato nel 1921 a Pietrogrado con Leonid Trauberg la «Fabbrica dell’attore eccentrico», FEKS) – e dalla conoscenza di Semyon Aranovich, che all’epoca stava realizzando un film su Stalin (Ho servito la guardia di Stalin, 1989) e lavorava allo stesso tempo a un film sulla poetessa Anna Achmatova, German, e altri quando il girato non funziona o è rovinato sono i disegni di Angela a colmare i «vuoti» del racconto.

A quelle storie avevano dato vita anche in un altro film – anch’esso ugualmente nell’installazione – Notes de nos voyages en Russie, in cui Anna Achmatova, Nina Berberova e Ida Nappelbaum vengono evocate con gli acquerelli di Angela che reinventano i volti di poeti e artisti dell’avanguardia sovietica.
Presentando una diversa variazione sulla Russia, A propos des nos voyages en Russie, avevano detto: «Li abbiamo filmati con rispetto, senza sovrapposizioni ideologiche. L’idea è quella di raccogliere testimonianze prima che scompaiano». L’Oriente e l’Occidente, l’innocenza apparente delle favole e dei giocattoli: ma cosa rivela l’involucro che le racchiude?

Ironica, con la capacità di guardare in modo diretto alla realtà, Angela aveva un pensiero politico lucido e forte su ogni accadimento, riusciva a intuirne i sensi meno evidenti. Un universo come il loro è espressione di una relazione, di un confronto, di uno scambio, di una simbiosi speciale ma chi la conosceva un po’ ha imparato a intuire cosa c’era di lei, la sua passione e il suo prezioso umorismo, uno sguardo che come pochi sapeva andare oltre l’apparenza con delicatezza, coerenza, pudore.

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