Visioni

Angela Baraldi e le rocker maledette

Angela Baraldi e le rocker maledetteAngela Baraldi – foto Donato Aquaro

In scena «The Wedding Singers», una via crucis tutta al femminile, messa in scena da Emanuele Luzzatti per il Teatro della Tosse di Genova

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 14 febbraio 2014

In scena c’è quel che resta di una festa di matrimonio all’aperto, una festa finita in una ridda caotica di oggetti rigorosamente bianchi travolti da un fortunale: ombrelloni e palloncini, tavoli e bicchieri e bottiglie. Anche il palchetto dal quale suonava il gruppo perde i pezzi, loro, i musicanti, sono ancora lì. Sono lì a supportare le wedding singers, i cantanti dei matrimoni, il coro angelico che dovrebbe appuntare amore su amore. Ma la sposa, oggi, è una sposa cadavere e rocker, una recente trapassata che il matrimonio ha tentato di celebrarlo con l’arte, e ne ha avuto in cambio disillusione e pochi spiccioli di poesia e notorietà, merci che non valgono, una vita intera, piena forse di banalità quotidiane, ma senza sorella con la falce in agguato, a ghermirti anzitempo.

Le «wedding singers» sono tutte concentrate in una donna piccola e tenace, tosta ed asciutta, Angela Baraldi. Sul palco, tra le scene concepite da Luigi Ferrando, è in vestito da sposa, un inciampo, più che un vestito delle festa che non c’è: rocker ed attrice, un binomio che in Italia non ha molte altre possibilità. Recente reduce da un ripasso sul palco delle canzoni dei Cccp che mozza il respiro, per chi capisce che il posto di Ferretti lo riesce a riempire solo una donna, recente reduce da un disco con Zamboni che merita ben più che un ascolto distratto. Il bel testo teso di Luca Ragagnin, messo in scena da Emanuele Luzzati per il Teatro della Tosse di Genova, stasera ultima replica, non si dimentica facilmente. Sono nove stazioni di una via crucis al femminile in rock, discese urticanti dove brucia la ferita di una vita scollata dal corpo quando ancora il corpo richiedeva musica, palcoscenico e confessione in pubblico col miele amaro della canzoni.

Retorica, si dirà, pura retorica del rock che fu bello e maledetto e finito nella snervata galleria del mito. Forse. Ma ci volevano questo testo e Angela Baraldi per restituire fiato, urti, curve e spigoli aguzzi di donne diverse. Alcune debitamente aureolate nelle storie del rock, e perciò depotenziate, alcune consegnate all’oblio, o alla disseccata maniacalità dei collezionisti. Nico e Janis Joplin, Karen Carpenter e Laura Nyro, Nina Simone e Dusty Springfield. E Nicolette Larson, , Sandy Denny.

L’intero spettro perduto di declinazioni in rosa del talento popular del secondo dopoguerra. Quello vero: dal blues al pop più sofisticato, passando per il jazz e le il folk. Per un mondo spesso letto solo al maschile. Tre musicisti della band Edgar Café accompagnano con pochi tratti asciutti Angela Baraldi quando le parole cedono il passo alla musica. Una, due canzoni per ogni «Wedding Singer». La voce è un grumo di forza flessuosa, specie quando i brani richiedono discese nei registro basso spesso ignorato dalle nostre signore del pop. Dedica finale di Angela a Freak Antoni: uno che sapeva bene, oltre ogni ironia, che bisogna stare attenti, perché «le canzoni d’amore hanno i lupi dentro».

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