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Analisi del fallimento dei poli industriali

Analisi del fallimento dei poli industrialiA un convegno della Confindustria – LaPresse

L’articolo di Valentino – del quale pubblichiamo ampi stralci qui – presenta i motivi della opposizione del Pci al Mercato Comune Europeo o meglio alla linea di politica economica che […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 1 maggio 2018

L’articolo di Valentino – del quale pubblichiamo ampi stralci qui – presenta i motivi della opposizione del Pci al Mercato Comune Europeo o meglio alla linea di politica economica che ormai lo caratterizza giacché nel 1959 la Comunità Economica Europea è già diventata una realtà operante.

Si sa che l’opposizione comunista alla Cee nasceva essenzialmente dalla preoccupazione per la nascita di un blocco economico e politico filo americano in opposizione al blocco socialista. E non mancavano a questo livello motivi legittimi di preoccupazione: la prima iniziativa comunitaria, fallita sul nascere nel 1954, era la Ced (Comunità Europea di Difesa), non proprio espressione degli ideali europeisti del manifesto di Ventotene.

Ma la tematica affrontata da Valentino è un’altra, strettamente economica e in linea con la rivista del Partito diretta da Giorgio Amendola.

L’articolo pone la questione del come un paese economicamente più arretrato, caratterizzato da un forte dualismo territoriale tra Nord e Sud, possa trarre profitto dall’adesione al nuovo blocco economico sovrannazionale.

La tesi di Valentino su questo punto specifico è pessimista non perché – sostiene- un intervento a vantaggio delle aree meno sviluppate non sia possibile in linea di principio ma perché non c’è nessuna volontà politica in tal senso.

L’Italia, paese povero e sovrappopolato, deve fornire al Mec mano d’opera a basso costo secondo lo schema, ben consolidato dall’immediato dopoguerra: uomini in cambio di carbone.

In realtà le cose per l’industria italiana andranno bene, meglio di quanto previsto dall’articolo, grazie alla competitività garantita dalla produzione di beni di consumo durevoli con bassi salari.

Ma il costo di ciò sarà pagato dall’agricoltura e soprattutto dal Mezzogiorno. Il processo di integrazione comunitaria favorirà sempre di più le aree forti d’Europa.

Il Mezzogiorno avanzerà fino agli anni ’70, grazie all’intervento straordinario, per iniziare da allora una fase di declino continuo nel disinteresse della politica economica nazionale e ancor più di quella europea, con un aggravamento progressivo a ogni passo dell’integrazione. L’attualità dello scritto sta nel fatto che la questione del dualismo e della questione meridionale si pone ora con la stessa urgenza negli stessi termini illustrati da Valentino mezzo secolo addietro.

Ciò non vuol dire che non siano cambiate le cose ma le costanti continuano a essere rilevanti sul piano economico come su quello politico. E Valentino ha sempre seguito l’evoluzione della situazione nel corso di decenni.

Qualche anno dopo la pubblicazione dell’articolo su Politica ed Economia conduce insieme a Santo Mazzarino e a Eugenio Peggio (uno dei pochi economisti del Partito insieme a Valentino) la celebre inchiesta sulla industrializzazione del Mezzogiorno pubblicata da Einaudi con il titolo Industrializzazione e Sottosviluppo.

Partendo dal caso del polo industriale di Siracusa, essi mostrano i limiti e le distorsioni dell’industrializzazione per poli che caratterizza la nuova fase di intervento della Cassa per il Mezzogiorno iniziata proprio a cavallo tra gli anni ’50 e ’60.

Si tratta dell’incapacità della grande industria, spesso a partecipazione pubblica, di integrarsi e di incidere sul tessuto socio-economico locale finendo per creare cattedrali nel deserto.

Questa analisi delle carenze della industrializzazione del Mezzogiorno, una ventina di anni dopo verrà assolutamente fraintesa e alla critica del modo in cui si realizzò quella industrializzazione si passò a una critica generale dell’intervento statale per promuovere l’industria nel Mezzogiorno: una delle tante «mode meridionaliste» alle quali Valentino non ha mai creduto.

Questo perché egli, con le sue competenze economiche, si inseriva pienamente nella tradizione meridionalista caratterizzata al contempo da una analisi della situazione socio-economica e politica e da una radicale proposta di cambiamento.

Con questo orientamento egli introdusse con un bellissimo saggio scritto insieme a Franco De Felice la raccolta degli scritti di Gramsci sulla Questione Meridionale, edita dagli Editori Riuniti: un testo importantissimo ormai introvabile nell’edizione a stampa.

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