Per i forti di corpo e di spirito che sono in grado di metabolizzare tutto quello che la politica italiana, nella sua insostenibile leggerezza, somministra, si consiglia oggi la lettura dell’intervista a Zaia, presidente leghista del Veneto (Corriere della Sera, 12 settembre), e della Carta di Taranto – Manifesto per il Sud di matrice Pd.

Zaia ci ammannisce tutti i luoghi comuni cui è abbonato, sull’autonomia in termini di efficienza e responsabilità. Su questo e sul superamento dei divari territoriali come interesse di tutto il paese ha già avuto tutte le risposte possibili. Insiste che chi è contro l’autonomia è contro la Costituzione, facendo ancora una volta finta di non capire che la contrarietà è verso l’autonomia come da lui declinata, in termini di shopping al supermercato delle competenze in cui si afferra tutto quello che si trova sugli scaffali. Non ci risulta abbia mai rinunciato alle pretese su nessuna delle 23 materie oggetto della originaria richiesta.

Zaia diffida gli alleati – e risponde a Crosetto che mette l’autonomia dopo la crisi economica e il presidenzialismo – a dire in chiaro prima del voto cosa intendono fare sull’autonomia. Richiama ancora il referendum veneto del 2017, affermando che la Corte costituzionale lo dichiarò ammissibile. Peccato che ometta di ricordare che i quesiti, elencati nelle leggi regionali 15 e 16 del 2014, erano molteplici, contemplando tra l’altro il trattenere l’80% dei tributi riscossi nel territorio regionale, la trasformazione del Veneto in regione a statuto speciale, o persino in repubblica indipendente e sovrana. Previsioni tutte dichiarate illegittime dalla Corte salvo una, ripetitiva del dettato dell’art. 116.3 della Costituzione (sent. 118/2015). E non manca in dottrina l’opinione che anche quella avrebbe dovuto essere censurata.

Conta poco chiedersi se Zaia stia praticando un dolus bonus o malus. Conta invece che è in armi con una golden share nel governo di una destra vincente. Un cattivo risultato nelle urne metterebbe a rischio la segreteria Salvini, e Zaia è in panchina pronto a scendere in campo. Per questo una risposta assume rilievo particolare. La troviamo nella Carta di Taranto?

No. Le ragioni per cui la Carta nasce sono ovvie. Come avevo da tempo segnalato anche su queste pagine, sul Mezzogiorno andava consumandosi un paradosso. Scomparso dall’agenda politica del paese, nelle urne sarebbe stato decisivo nel determinarne gli equilibri. Questa percezione è, con ritardo, penetrata nella torpida epidermide filo-nordista del Pd, producendo ora la Carta. Bene. Ma rimangono limiti e contraddizioni.

Anzitutto, è mai possibile scrivere un Manifesto per il Sud dove le parole autonomia, e ancor meno differenziata, nemmeno compaiono? Eppure, sono uno dei termini del dichiarato scambio programmatico con il presidenzialismo che la destra ha messo nero su bianco nell’accordo di governo. La Lega attacca. Perché non si risponde? Forse perché nel Pd si studia per la segreteria Bonaccini, cofirmatario dei preaccordi del 2018 e alleato di Fontana e Zaia? Chi lo tocca muore? Non si può negare che esista un problema di quanto meno dubbia compatibilità dell’autonomia differenziata come fin qui declinata – soprattutto se vista come ripartenza della locomotiva del Nord – con il rilancio del Sud motore produttivo, con lo spostamento verso il Mediterraneo dell’asse geopolitico, con gli obiettivi e i tempi del Pnrr.

C’è chi si affanna a sostenere che tutto si risolve con una legge-quadro. Non è così. La legge dice – e serve a poco – del procedimento da seguire per l’autonomia, ma non dice cosa l’autonomia sarà. Questo si vedrà nelle intese, che verranno poi. E frammenti di livelli essenziali di prestazioni (Lep) non basterebbero a bilanciare i divari territoriali, peggio ancora se rimanesse la spesa storica. A tutto questo la Carta di Taranto, in chiave di credibilità, doveva dare ampia considerazione, contro le repubblichette semi-indipendenti volute da Zaia e dai suoi sodali.

Si poteva far meglio. Anche in Veneto si sentono voci diverse. Rossi, responsabile del Forum autonomie e regionalismo del Pd di Venezia, scrive che con la richiesta di tutto e subito si è lasciato intendere “l’autonomia come variante solo lessicale dell’indipendenza” (Nuova Venezia, 11 settembre). Vero. Proprio per questo i silenzi, dolosi o colposi, sono stati sempre inaccettabili. Ora in campagna elettorale il tema è sul tavolo. Parliamone in chiaro. Se non ora, quando?