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America first cominciando dall’uranio bipartisan

America first cominciando dall’uranio bipartisan

Nucleare Il pragmatismo yankee ha scelto di prepararsi al peggio (l’ineluttabilità di una catastrofe) rilanciando l’energia nucleare, senza la quale non si dà transizione energetica stante le ambiguità della scienza e la confusione dei movimenti ambientalisti, e nello stesso tempo aumentando l’autonomia e le capacità di intervento delle sue forze armate, non solo a fini bellici, ma per fare fronte a qualsiasi “minaccia” di tipo ambientale o sociale

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 21 luglio 2020

In piena pandemia è stato pubblicato negli Stati uniti (aprile 2020) un documento governativo dal titolo Restoring America’s Competitive Nuclear Energy Advantage-A strategy to assure US national security che costituisce il punto di arrivo di un percorso iniziato all’indomani dell’incidente di Fukushima. Esso è il frutto condiviso da repubblicani e democratici come raramente si era registrato nella storia del congresso e illustra la strategia in tema di energia nucleare, con forti implicazioni per la sicurezza nazionale.

Il primo obiettivo è quello di “ripristinare la sovranità degli Usa nell’uso dell’elemento naturale più potente del pianeta, l’uranio, per usi pacifici e scopi di difesa, come è scritto testualmente nel documento, e a tale scopo il governo ha stabilito per legge che circa 35 elementi naturali sono da ritenersi “minerali critici” e pertanto soggetti ad una legislazione speciale relativamente ai processi di esplorazione, estrazione, raffinazione. Tra questi figurano: uranio, terre rare, elio, litio, zirconio, berillio, tellurio, manganese, cobalto etc.

Oltre a cospicui finanziamenti per l’industria mineraria, la legislazione speciale prevede di deregolamentare molte norme ambientali e per questo motivo Trump si è assicurato il placet di tutte le agenzie che sovraintendono a queste problematiche. Il secondo obiettivo consiste nel “riconquistare il primato Usa nella progettazione dei reattori ad acqua leggera” secondo tre direttrici di intervento.

In primo luogo realizzare un “combustibile resistente agli incidenti” ovvero un combustibile che “non si rompa” (e quindi non rilasci prodotti di fissione) anche in caso di incidenti tipo Fukushima. A questo progetto, previsto operativo nel 2025, hanno lavorato i più grandi centri di ricerca nucleare del mondo occidentale con un impiego di risorse impressionante. Altro aspetto è lo sviluppo di reattori modulari, di piccola taglia ed estremamente semplificati: il modello di punta di questi reattori è il Bwrx 300 della General Electric a sicurezza intrinseca, costruito sotto terra, senza pompe di circolazione, costi e tempi di costruzione dimezzati. Lo sviluppo dei cosiddetti microreattori invece, vede la partecipazione diretta del Pentagono che vuole dotare di una fonte di energia indipendente dalla rete elettrica, tutte le basi militari in territorio Usa (ma qualcuna anche all’estero). Si tratterebbe di una pericolosissima proliferazione anche perché questi reattori sono ad altissimo arricchimento (fino al 90%).

La terza direttrice di intervento consiste nell’applicazione dell’Intelligenza Artificiale ai reattori nucleari, partendo proprio dal reattore della General Electric. Lo scopo è quello di abbattere drasticamente i costi operativi, dato che il funzionamento del reattore sarebbe gestito con pochissimo personale. La tecnica su cui si basa questo progetto è quella dei Digital Twins (gemelli digitali) che nel caso specifico consisterebbe nel riprodurre digitalmente i sistemi e i componenti del Bwrx-300 e simularne il funzionamento in tutte le condizioni di esercizio possibili. È un progetto temerario, denso di rischi, ma se andrà in porto farà da battistrada all’applicazione generalizzata dell’intelligenza artificiale all’industria 4.0.

Al di là delle fondatezza di questi progetti (e della propaganda che inevitabilmente li accompagna), deve far riflettere l’intenzione che li anima: quella di ribadire al mondo intero che la sicurezza nazionale è l’obiettivo prioritario degli Stati uniti e che pertanto l’american way of life non è negoziabile, sia che si tratti di affrontare le conseguenze della Quarta rivoluzione industriale (l’annunciata disoccupazione di massa), sia che si vogliano ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici. Il pragmatismo yankee ha scelto di prepararsi al peggio (l’ineluttabilità di una catastrofe) rilanciando l’energia nucleare, senza la quale non si dà transizione energetica stante le ambiguità della scienza e la confusione dei movimenti ambientalisti, e nello stesso tempo aumentando l’autonomia e le capacità di intervento delle sue forze armate, non solo a fini bellici, ma per fare fronte a qualsiasi “minaccia” di tipo ambientale o sociale. È un atteggiamento ostile, affatto dialogante, ma non del tutto nuovo se si pensa che già nel 2003, in un rapporto sui cambiamenti climatici ispirato dal Pentagono, si sosteneva che “Le risorse del pianeta non sono più in grado di sostenere le necessità dell’attuale popolazione” e quindi “ Ancora una volta solo la guerra potrà definire la forma della vita sulla Terra”.

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