Alle crisi ambientali globali, daremo soluzioni… regionali. Sembra un paradosso, eppure è quanto si appresta a fare l’Italia con il disegno di legge del Governo Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario che prevede la possibilità di trasferire alle Regioni, non solo le materie di legislazione concorrente, ma anche alcune materie di legislazione esclusiva dello Stato, tra cui la tutela di ambiente, ecosistemi e beni culturali.

SI VUOLE COSI’ DARE ATTUAZIONE all’articolo 116, comma 3, della Costituzione che consente alle Regioni a statuto ordinario di vedersi riconosciute «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» oltre quelle concorrenti. Vengono stabilite delle clausole di garanzia, ma le contraddizioni insite nella proposta appaiono difficilmente risolvibili: contraddizioni che emergono fin dalle fondamenta del provvedimento che sulle procedure di trasferimento pare non far distinzioni tra materie concorrenti e materie esclusive dello Stato.

IL DISEGNO DI LEGGE LASCIA POI IRRISOLTE le questioni di merito già emerse nel biennio 2017/18 quando Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna cercarono di farsi riconoscere – senza riuscirci – materie e competenze dell’articolo 116 della Costituzione conquistando così nuovi gradi di autonomia. Nel testo si affronta il tema dell’autonomia differenziata con un carattere ordinatorio fissando tempi e procedure che però sembrano più condizionate da una volontà politica che giuridica. Volontà politica che, come ha sottolineato il costituzionalista Gaetano Azzariti, fa riferimento ad un modello competitivo di regionalismo che si discosta dal modello solidale, proprio della nostra Costituzione, con cui il legislatore dovrà fare i conti perché i diritti fondamentali delle persone vanno garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 2 Cost.), va riconosciuta l’eguaglianza formale e sostanziale tra i cittadini, escludendo discriminazioni in base alla collocazione territoriale (art. 3 Cost.) e le autonomie sono promosse fatta salva l’indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.).

DEL RESTO IL RAPPORTO TRA STATO e Regioni in tema di tutela di ambiente, ecosistemi e beni culturali, già oggi presenta aspetti problematici: dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, nei 2.200 ricorsi alla Corte Costituzionale per violazione della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, i settori con maggiore contenzioso, dopo la finanza pubblica, sono proprio salute, ambiente e urbanistica (dati del Sole 24 Ore). Nelle osservazioni presentate alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, il Wwf Italia ha perciò richiamato l’attenzione sui rischi per l’ambiente insiti nel disegno di legge del Governo, così come negli altri due presentati da parlamentari del Pd (Boccia e Martella).

È FORTE LA PREOCCUPAZIONE sia per le procedure seguite, non attente al confronto e alla partecipazione, sia per il reale pericolo di ridurre e parcellizzare la tutela ambientale. Una preoccupazione che non deriva da una preconcetta visione centralistica, ma dalla reale portata della riforma che, qualora dovesse trasformarsi in legge, determinerà una situazione ben oltre un regionalismo costruito sui principi di responsabilità, interdipendenza, solidarietà e sussidiarietà. Verrà meno il sistema di controlli e garanzie dello Stato a tutela dell’unitarietà dell’azione indispensabile per assicurare la protezione dell’ambiente quale «valore di diritto fondamentale della persona e di interesse fondamentale della collettività», come affermato dalla Corte costituzionale e rafforzato nel 2022 dalla modifica costituzionale dell’articolo 9 (tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e degli animali) e dell’articolo 41 (limiti all’iniziativa economica privata alla tutela ambientale).

UNA RIFORMA CHE, NONOSTANTE si cerchi di nasconderlo, ha anche introdotto l’interesse delle future generazioni ad avere un ambiente sano e tutelato e a non vedere compromessa la natura che garantisce la nostra stessa vita. E proprio la riforma costituzionale pone alcune domande interessanti: dopo la modifica dell’articolo 9, la tutela dell’ambiente e della biodiversità, passando da materia costituzionale a principio fondamentale della nostra Carta, può ancora essere trasferita alle Regioni negli stessi termini indicati prima della modifica del 2022? E visto che oggi la tutela dell’ambiente è tra i principi fondamentali della nostra Costituzione, sarà possibile in questo campo definire (e poi garantire) quei Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP) che, per il trasferimento di competenza dallo Stato alle Regioni, rappresentano la «soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti e per erogare prestazioni sociali di natura fondamentale»?

CON LA SITUAZIONE AMBIENTALE che stiamo vivendo non possiamo permetterci di compromettere le garanzie di tutela ambientale valide in tutto il Paese favorendo un «regionalismo asimmetrico» con il moltiplicarsi di competenze decentrate. Livelli di tutela differenziati e a macchia di leopardo sarebbero inefficaci e amplificherebbero il rischio di non rispettare gli obblighi di tutela dell’ambiente e della salute che derivano dall’ordinamento comunitario e internazionale.

IN QUESTI ANNI, LA SCARSA CAPACITA’ di controllo e coordinamento dello Stato ha già determinato per il nostro Paese l’avvio di numerose procedure di infrazione della Commissione Europea, con ripercussioni negative non solo su ambiente e salute umana, ma anche sulle tasche dei cittadini e delle future generazioni a spese delle quali continuiamo a contrarre debiti economici e ambientali. Stante la sua centralità, la tutela dell’ambiente e della natura dovrebbe essere oggetto di attribuzione alla competenza delle Regioni solo se queste fossero in grado di dimostrare la capacità e la volontà di assicurare una protezione maggiore rispetto a quella comunque garantita dallo Stato. Ma a vedere gli orientamenti del governo e le politiche regionali degli ultimi anni non sembra proprio che questo sia l’obiettivo della riforma.