«Allacciate le cinture», la vita è una turbolenza secondo Ozpetek
Anteprima Il regista turco presenta il suo nuovo film, nelle sale dal 6 marzo
Anteprima Il regista turco presenta il suo nuovo film, nelle sale dal 6 marzo
Il titolo fa pensare – forse per riflesso aeroportuale condizionato – agli Amanti passeggeri di Almodovar, anche se per questo suo nuovo film Ferzan Ozpetek dichiara come riferimenti Sirk, De Sica e, naturalmente, la vita. Difatti il sottotitolo «ideale» di Allacciate le cinture, che viene detto solo nei titoli di coda è: «turbolenza in arrivo». Perciò grandi gioie e infinite lacrime, incontri e separazioni, perdite e nuove scoperte, la malattia e la morte ma soprattutto l’ amore. Che questo è Allacciate le cinture, una storia d’amore – Ozpetek lo ripete spesso – sullo sfondo pugliese-film-commission sempre più cartolina di mare blu.
Elena (Kasia Smutniak) conosce Antonio (Francesco Scianna), a prima vista si detestano ma sappiamo già che sarà colpo di fulmine – come commedia sofisticata vuole, insieme a Ozpetek ha scritto il cinephile Gianni Romoli. Lui è razzista e ce l’ha pure coi gay, immaginiamo un po’ che il miglior amico/fratello della ragazza, Fabio, è gay (Filippo Scicchitano). Però: come resistere a addominali e bicipiti tatuati (fino al fondoschiena) di Francesco Arca? E a quel fascino grezzo (fa il meccanico … ) da calendario (bisex)? Lei palpita, e cede (nell’acqua salentina). Dopo dinieghi vari la loro diventa storia – «Una volta è occasionale, quattro è una relazione» chiosa la mamma della nostra. Impossibile agli occhi di tutti: ma come con quel donne&motori, buono per una botta e via dice l’amica del cuore (Crescentini), che difatti lo ha usato per togliersi dalla testa il fidanzato di Elena. Lei però se lo sposa, e tredici anni dopo sono ancora insieme, hanno due figli, lui continua a andare a letto con tutte, specie con la parrucchiera vistosa, mentre lei mantiene la famiglia, il locale che ha insieme a Fabio è diventato di super tendenza, bada ai figli, paga le multe di lui. Poi succede che Elena scopre di essere malata incurabile, e tra una chemio e l’altra, una crisi e l’altra, la famiglia allargata le sta accanto (sei fortunata dice la compagna di stanza terminale pure lei ma sola sola), il marito fa l’amore con lei nel letto d’ospedale, passato e presente si confondono coi fantasmi e i sogni di morte in uno sliding doors esistenziale (più soap che melò).
Rispetto alla bella eccentricità di Magnifica presenza, l’impressione è che qui Ozpetek nonostante le citazioni cinefile, si «allacci le cinture» mettendosi in sicurezza (vedi botteghino dove l’altro aveva deluso) con una serie di riferimenti «collaudati».
Racconta il regista che l’idea gli è venuta dall’esperienza di un’amica, che dopo una malattia era molto cambiata. «Le ho chiesto come fosse il rapporto con il marito, e lei mi ha risposto che ancora la desidera nonostante tutto, facendo la battuta che poi ho usato nel film: ’Agli uomini non fa schifo niente!’» La frase (non proprio amorosa) dice molto sul film. Potremmo guardare Allacciate le cinture (in sala il 6 marzo con 350 copie) come una sorta di manuale (a distanza) sulla coppia etero – madonna che triste è però con quella routine di abitudini, minestre riscaldate, tradimenti, lacrime e trasporto solo nel letto d’ospedale. E senza neppure imprevisti bisex di altri film. Mentre Elena esce dal quadro, Antonio, corpo del desiderio accarezzato dalla macchina da presa in ogni tatuaggio (ma non da Elena c’est moi), rimane etero. Però la scala di Kinsey ci dice che nessuno è un 100%. E Ozpetek questo lo sa.
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