Alessandro, integrazione asiatica, resistono gli stereotipi
Alias Domenica

Alessandro, integrazione asiatica, resistono gli stereotipi

Affresco con filosofo, Alessandro e l’Asia, da Boscoreale, Villa di P. Fannius Synistor, oecus, metà I sec. a.C. – Luigi Spina; Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Al Museo archeologico di Napoli Più di 170 opere selezionate da Filippo Coarelli e Eugenio Lo Sardo (tra cui il Vaso di Dario e il Vaso di Eurimedonte), raccontano in una mostra il rapporto tra il Macedone e l’Oriente

Pubblicato circa un anno faEdizione del 30 luglio 2023

Pochi personaggi nella storia umana sono riusciti a lasciare un segno così duraturo come ha fatto Alessandro III di Macedonia (356-323 a.C.). Nel corso dei secoli la figura di questo giovane re conquistatore ha goduto di una fama che si è manifestata in più campi, dall’arte alla letteratura, dalla storiografia alla musica, e in più livelli, dagli ambienti colti a quelli popolari grazie alla redazione di un vero e proprio Romanzo di Alessandro che attraverso molteplici traduzioni e adattamenti ha viaggiato dall’Europa medievale fino all’isola di Sumatra.

Ancora ai giorni nostri Alessandro non cessa di essere quella che oggi definiremmo un’icona pop, complice la pellicola cinematografica Alexander (2004) di Oliver Stone, ma potremmo aggiungere anche l’anime giapponese a lui dedicato, Alexander – Cronache di guerra di Alessandro il Grande (1999) diretto da Yoshinori Kanemori. A colui che ampliò in maniera fino ad allora impensabile gli orizzonti geografici e culturali della Grecia, il Museo archeologico nazionale di Napoli (Mann) dedica la mostra Alessandro Magno e l’Oriente (fino al 28 agosto 2023), a cura di Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo: a essi va il merito di aver selezionato più di 170 opere che raccontano al visitatore quell’esperienza militare, certo, ma anche scientifica e culturale che fu la campagna di Alessandro in Asia.

Se si dovesse giudicare un contenuto solo dalla sua «etichetta», forse l’esposizione del Mann susciterebbe non poche perplessità in chi ne leggesse la presentazione ufficiale. Curiosi anacronismi («l’uzbeka Roxane», «Alessandria Eschate, un tempo Leninabad») e affermazioni quali «l’ammirazione nei confronti di Alessandro da parte dei sacerdoti egiziani» o ancora «l’Asia fu fecondata dalla cultura ellenistica», sembrano infatti riecheggiare vecchi cliché colonialisti. Ormai confutati dalla moderna ricerca, tali stereotipi dipingevano le plurimillenarie culture asiatiche come popolazioni selvagge, le quali non attendevano altro che l’arrivo del conquistatore macedone per ricevere la civiltà.

In realtà l’Oriente conquistato si è fatto conquistatore e questo aspetto emerge in parte anche nella mostra. Tuttavia, considerando la grande copertura mediatica ricevuta dalla rassegna e l’impegno profuso nella sua organizzazione, è un peccato che il «biglietto da visita» dell’iniziativa sia un testo trascurato nella forma e nei contenuti.

Il percorso espositivo si articola principalmente negli ambienti dell’Atrio Monumentale e della Sala della Meridiana, in cui attraverso gli oggetti esposti si cerca di ripercorrere cronologicamente la vita di Alessandro e le fasi principali della sua spedizione orientale. Nel primo spazio, il visitatore è accolto da tre ritratti marmorei di Alessandro (l’ «Erma Azara» dal Museo del Louvre, un ritratto dal Museo Archeologico di Tessalonica, un Alessandro-Eracle da Tivoli) che derivano da originali scolpiti da Lisippo, l’unico scultore che avrebbe avuto l’autorizzazione, insieme al pittore Apelle, di riprodurre le sembianze idealizzate del sovrano. L’altra opera in cui Alessandro è raffigurato è il mosaico della battaglia tra il Macedone e Dario III proveniente dalla Casa del Fauno a Pompei, che tuttavia risulta il grande assente della mostra, perché soggetto a una delicata operazione di restauro che si sta protraendo da circa due anni.

La questione della rappresentazione di Alessandro riemerge anche nell’affresco della Villa di Boscoreale, copia di un soggetto di corte macedone in cui si possono osservare due enigmatiche figure che vengono interpretate come Alessandro, a sinistra, e la personificazione dell’Asia conquistata a destra. Va detto a beneficio dei non specialisti che l’identificazione della prima figura con Alessandro è lungi dall’aver ottenuto un ampio consenso da parte degli studiosi, anzi, ci sono elementi altrettanto cogenti a livello storico e letterario per sostenere, com’è stato fatto, che la prima figura sia una personificazione della Macedonia e che in generale la scena dell’affresco rielabori un’allegoria della Grecia e della Persia già resa popolare a pochi anni dalla fine delle Guerre persiane da I Persiani di Eschilo.

Negli spazi dedicati alla Persia, l’altro importante comprimario nella vicenda terrena di Alessandro, è degna di nota una teca in cui sono messi insieme splendidi esempi dell’oreficeria persiana e vasi greci che illustrano la percezione ellenica del vasto mondo iranico, tra cui il celebre Vaso di Eurimedonte, che continua a stimolare un ampio dibattito fra gli studiosi a causa di alcune problematiche legate all’identificazione dei personaggi raffigurati e alle iscrizioni che vi sono incise. In ogni caso, la scena rappresentata sarebbe una scherzosa allusione, dagli inequivocabili connotati sessuali, alla vittoria navale conseguita dall’ateniese Cimone contro la flotta persiana presso il fiume Eurimedonte (oggi Köprüçay in Turchia) intorno al 466 a.C. Il reperto di piccole dimensioni passa quasi inosservato in mezzo a tanti altri oggetti e forse avrebbe meritato uno spazio di approfondimento a sé. Grande visibilità è stata giustamente data, invece, al Vaso di Dario, il colossale cratere rinvenuto a Canosa nel 1851 su cui sono rappresentati Dario I e la sua corte.

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In generale, leggendo i pannelli esplicativi non si può però fare a meno di notare come la narrazione dell’impero achemenide dipenda ancora dallo specchio deformante delle fonti greco-romane, che presentano l’impero di Dario III come un colosso moribondo, vittima degli intrighi di corte e delle rivolte. La decadenza del barbaro avrebbe di fatto giustificato la conquista di Alessandro e il suo diritto a proclamarsi erede dell’impero.

Il maggiore specialista della questione, lo storico francese Pierre Briant – che viene citato ben una volta nel catalogo dell’esposizione (Electa, pp. 168, euro 25,00) – ha dimostrato quanto l’idea della decadenza achemenide vada relegata nel «negozio delle curiosità storiografiche». Alessandro continuerà a utilizzare a suo vantaggio la struttura amministrativa dell’impero persiano, ma finirà col comprometterne il sistema, in parte per il cortocircuito causato dalla sua volontà di porsi come erede del Gran Re e la palese opposizione dell’aristocrazia macedone a considerare come pari i barbari sconfitti. In breve, vennero spezzati i legami di fedeltà che univano il sovrano alle élite persiane in senso ampio e le comunità locali. La crisi dinastica alla morte di Alessandro non fece che accelerare il processo di disgregazione.

Tra i reperti documentari esposti, merita di essere menzionata la Stele di Napoli: il testo in geroglifico è un racconto autobiografico di Samtawi Tefnakhte, sacerdote e medico egiziano alla corte di Dario III, testimone della battaglia di Isso (333 a.C.). Dopo la vittoria macedone Samtawi fuggirà in patria per poi sostenere Alessandro al suo arrivo in Egitto (332 a.C.).

Questa testimonianza è senza dubbio di grande valore storico ma non bisogna dimenticare che l’appoggio delle élite locali non obbedì quasi mai a un reale spirito di ammirazione nei confronti del Macedone «liberatore dell’Egitto e dell’Oriente», ma più prosaicamente a un calcolo su quanto il nuovo arrivato avrebbe saputo garantire i privilegi della classe sacerdotale. Era stato così all’epoca della conquista persiana, sarà così dopo Alessandro sotto i Tolemei. Se la mostra mette in risalto la volontà di integrazione del Macedone nei confronti degli iranici, è altrettanto vero che la sua immagine non fu accolta sempre positivamente.

In ambito persiano, ad esempio, Alessandro sarà ricordato con l’epiteto poco lusinghiero di «maledetto» per aver distrutto l’impero e bruciato i libri sacri della religione zoroastriana. In India, dove l’esercito macedone – piaccia o meno – si è reso protagonista di veri e propri massacri ai danni della popolazione locale, la figura di Alessandro è completamente omessa dalla memoria locale. Gli elementi ellenici che osserviamo nelle opere d’arte del Gandhara presentate al Mann, non sono dunque il frutto dell’incontro con Alessandro, ma con le dinastie indo-greche che si insediarono nella regione a un secolo e mezzo di distanza dalla morte del sovrano macedone. La rassegna ha il pregio di aver raccolto una collezione di estremo interesse, sebbene a tratti riproponga un racconto agiografico senza offrire una visione davvero nuova e problematizzata di quello che è stato in tutti i sensi uno degli eventi più significativi della storia euroasiatica.

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