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Al Nusra: «Nessun riscatto»

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Le due cooperanti Greta Ramelli e Vanessa Marzullo ai pm: nessuna violenza. Il governo nega di aver pagato per la loro liberazione. Ma la Lega attacca

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 17 gennaio 2015

Stanche, duramente provate per la brutta esperienza vissuta al punto da essere ancora sotto choc. E come potrebbe essere altrimenti. Ma anche lucide nel ricostruire i cinque mesi di prigionia trascorsi in Siria, attente nel descrivere ogni particolare, fino a raccontare che nei quasi 200 giorni trascorsi chiuse in diverse case e sorvegliate da uomini sempre con il volto coperto hanno passato momenti che definire difficili è dir poco ma durante i quali non avrebbero subìto violenze.
Per quattro ore, al sicuro dentro una caserma dei Ros sulla via Salaria, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo hanno rimesso assieme per quanto hanno potuto tutti i tasselli del loro sequestro, avvenuto il 31 luglio scorso in una località tra Aleppo e Idlib tre giorni dopo essere entrare nel paese attraverso la frontiera con la Turchia per portare medicinali ai ribelli. Le due volontarie hanno risposto alle domande rivolte loro dal procuratore capo Giancarlo Capaldo e dai sostituti Sergio Colaiocco e Francesco Scavo, i tre magistrati della procura di Roma che indagano per sequestro di persona con finalità di terrorismo. Greta e Vanessa, 20 anni la prima, 21 la seconda, sono arrivate alle 4 di ieri mattina all’aeroporto di Ciampino con un Falcon dell’Aeronautica militare proveniente dalla Turchia. Il viso segnato dalla fatica e dallo stress, appena un sorriso accennato al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che le aspettava sotto la scaletta dell’aereo. Poi l’abbraccio con i familiari e un controllo medico all’ospedale miliare del Celio. Infine l’interrogatorio blindato nella caserma dei Ros e i cui verbali sono stati secretati.
Con i magistrati Greta e Vanessa hanno ripercorso uno per uno tutti i momenti del sequestro. A partire dal giorno del rapimento, avvenuto dopo essere cadute in un tranello mentre si trovavano nel nord della Siria, non lontane da Aleppo. Sulla vera matrice dei rapitori – un gruppo di certo criminale ma che non sarebbe legato al fondamentalismo – ci sono ancora molti dubbi: «Ancorché il sequestro sia avvenuto in una zona in larga misura controllata da Al-Nusra, risulta arduo segnare un preciso confine tra le assai diffuse attività criminali e iniziative di matrice politico-religiosa intraprese da gruppi e sottogruppi spesso in conflitto fra loro per il controllo del territorio», spiega in mattinata alla Camera il ministro Gentiloni.
Di sicuro nei cinque mesi trascorsi prigioniere, le due ragazze non sono state tenute mai nello stesso posto, ma sarebbero state spostate da chi aveva il compito di sorvegliarle in case diverse seppure sempre nella stessa area del paese. Inoltre non sono mai state divise, rimanendo sempre assieme. Un particolare che di certo ha avuto un peso non indifferente nella tenuta psicologica delle due volontarie. Nessuna notizia, invece, Greta e Vanessa hanno saputo dare su padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito anche lui in Siria nel luglio del 2013, così come avrebbero negato di sapere di un riscatto pagato per la loro liberazione.
Proprio sul presunto riscatto anche ieri sono tornate ad accendersi le polemiche. Giovedì, subito dopo la notizia dell’avvenuta liberazione delle cooperanti, una fonte vicino allo Stato islamico aveva parlato di 12 milioni di dollari pagati dal governo italiano. Notizia che va inserita all’interno della guerra, anche mediatica, tra Al-Nusra e l’Is con l’evidente obiettivo da parte dei miliziani del califfato di screditare il gruppo qaedista. Ieri, attraverso un account Twitter, la stesa Al-Nusra ha negato l’esistenza di un riscatto per Greta e Vanessa: «Il motivo del loro arresto è che molti agenti dei servizi segreti occidentali entrano in Siria come operatori umanitari. Le due ragazze sono state prese e interrogate e poi sono state rilasciate», ha twittato tale Abu Khattab al-Shami, autodefinitosi come un appartenente ad «al-Nusra di al-Qaeda del Jihad nella terra di al-Sham».
In realtà contrariamente alla linea scelta dagli Stati uniti l’Italia, così come la Francia, appartiene a quei Paesi che anche in passato, pur senza mai ammetterlo ufficialmente, hanno scelto di pagare per la liberazione di propri cittadini. Parlando alla Camera il ministero Gentiloni ha ovviamente definito «una pura illazione» l’ipotesi del riscatto, rassicurazione che non ha impedito alla Lega di attaccare il governo: «Se veramente per liberare le due amiche dei siriani avesse pagato un riscatto di 12 milioni, sarebbe uno schifo», ha twittato il leader del Carroccio Matteo Salvini.

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