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Al G20 per convincere la Ue. Si tratta fino all’ultimo minuto

Al G20 per convincere la Ue. Si tratta fino all’ultimo minutoIl premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Giovanni Tria – LaPresse

Rischio procedura d’infrazione Tria e Conte a Osaka vedranno Moscovici. Rinviato a lunedì l’assestamento di bilancio

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 27 giugno 2019

Fermate le macchine. Tutto rinviato al primo luglio. Il consiglio dei ministri che ieri sera avrebbe dovuto varare la legge di assestamento di bilancio, di fatto l’«offerta» dell’Italia alla commissione europea per fermare la procedura d’infrazione, si è occupato invece di provvedimenti in scadenza. Il vero cdm si riunirà il primo luglio, proprio alla vigilia del verdetto della commissione previsto per il giorno successivo. Quando ieri mattina Giorgetti, confermando la voce che già circolava, ha spiegato che il cdm sarebbe stato spostato a lunedì prossimo è stato evidente a tutti che uno spiraglio si è effettivamente aperto e che la trattativa è in corso, a questo punto con solide possibilità di concludersi positivamente.

SARÀ UNA TRATTATIVA TESA, serrata sino all’ultimo, e si svolgerà a Osaka, sede del G20. L’appuntamento è decisivo, tanto che il premier Conte ha deciso di partire anche lui con il ministro Tria. Pur non essendo in programma, dovrebbe svolgersi lì un summit dei ministri finanziari al quale parteciperà anche Moscovici. La commissione fa filtrare che «tutto dipende da Roma», dal momento che «nessuno muore dalla voglia di avviare la procedura contro l’Italia». In realtà nella commissione si fronteggiano due linee diverse. Quella più rigida, che conterebbe al proprio interno Dombrovskis, sarebbe ancora orientata a chiedere al Consiglio di avviare la procedura. La più morbida, con Moscovici, vorrebbe invece concedere quanto meno il beneficio del dubbio, se i conti di Tria confermeranno che il deficit previsto è passato dal 2,4% del Def al 2,1%.

La commissione, va da sé, non è affatto impermeabile alle pressioni dei capi di Stato, e la Germania sarebbe tra i Paesi duttili, e della Bce, contraria ad avviare la procedura adesso. Le acque dei mercati sono ancora calme. L’avvio della procedura potrebbe però scatenare la tempesta. L’Italia, inoltre, si è trincerata in una posizione molto coperta. Non ha varato la manovra correttiva che la commissione voleva imporre, ma neppure ha assunto una posizione rigida, avendo al contrario ramazzato miliardi ovunque. Una procedura molto severa, che comporterebbe il commissariamento per sei anni, non sarebbe facilmente giustificabile.

PER PRIMA COSA la commissione ha già chiesto di aumentare la somma a disposizione a copertura del deficit. Un altro miliardo, forse anche uno e mezzo, che Tria si sta affannando per recuperare in tempo. In qualche modo ci riuscirà. Più spinoso il secondo passaggio: qualche garanzia sulla futura legge di bilancio. Sarà uno dei nodi più delicati della trattativa di Osaka: l’intervento sul deficit anche del 2020 è una delle richieste avanzate esplicitamente da Bruxelles. L’ala dura avrebbe quindi le carte in regola, senza qualche passo in questa direzione, per impuntarsi.

Se tutto andrà come Conte e Tria si augurano il dossier non verrà comunque chiuso. Il giorno seguente la commissione troverà una formula, ancora incerta, per congelare la procedura. La richiesta non verrà inoltrata, dunque il Consiglio del 9 luglio non avrà più il caso italiano all’ordine del giorno, ma non verrà neppure cestinata. Tutto verrà rinviato alla legge di bilancio, tra settembre e dicembre. E a gestire la spinosissima faccenda dovrà essere Salvini. Non a caso nelle ultime settimane i 5S, a partire da Di Maio, hanno segnalato che l’onere di guidare la prossima manovra spetta a chi ha vinto le europee.

SARÀ UN COMPITO tra i più difficili. Non solo perché sul tavolo ci sono i 23 miliardi necessari per evitare l’aumento dell’Iva ma anche perché la Corte dei Conti ha certificato ieri che la Flat tax, soprattutto se finanziata in deficit, avrebbe effetti negativi e soprattutto per quei dati Istat che registrano una pressione fiscale ai massimi livelli dal 2015: 38% del Pil. Salvini, insomma, potrebbe trovarsi a dover essere l’autore dell’ulteriore aumento invece che del taglio delle tasse.

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