Airbnb: il lato oscuro del micro-affitto digitale
Scaffale «Airbnb città merce» di Sarah Gainsforth, per DeriveApprodi
Scaffale «Airbnb città merce» di Sarah Gainsforth, per DeriveApprodi
Con Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale (DeriveApprodi, pp.189, euro 18) Sarah Gainsforth ha scritto il primo libro in Italia, e non solo, su uno dei campioni del capitalismo digitale che contribuisce alla gentrificazione delle città attraverso la politica degli affitti brevi. La pubblicazione di questo reportage che viaggia dagli Stati Uniti alla Spagna, dal Portogallo all’Italia è in netta discontinuità rispetto alla rappresentazione che Airbnb ha imposto attraverso un’efficace campagna di marketing.
NEI QUADRI-TASSELLI di una narrazione che procede a mosaico Gainsforth racconta il lato oscuro del micro-affitto digitale nei quartieri e nei centri storici di Barcellona, Venezia, Firenze o New York. In poco più di dieci anni Airbnb è diventato un colosso capace di insidiare le catene alberghiere e un nuovo monopolio che ha radicalizzato le politiche urbane neoliberali. La piattaforma digitale che si è posta come l’alternativa low cost accessibile ai proprietari e ai turisti non è un rimedio alla crisi dei redditi e dello status del ceto medio impoverito.
IL LIBRO RACCONTA la storia del passaggio dal suo modello ascensionale, basato sui titoli di studio e la mobilità socio-professionale a uno basato sulla povertà educativa ed economica. La casa, di proprietà o in affitto, è diventata l’ultima rendita da mettere a valore in un mercato dove il rapporto tra il lavoro e il salario si è dissolto. L’affitto breve non permette di uscire dalla trappola della precarietà lavorativa e abitativa. Al contrario aumenta le diseguaglianze tra chi trae un profitto dalla trasformazione finanziaria della rendita immobiliare e chi è costretto a uscire da casa propria per garantirsi un’integrazione a un reddito calante o inesistente.
SARAH GAINSFORTH coglie un duplice conflitto: quello dall’alto tra Airbnb con le regole del mercato immobiliare, del settore alberghiero e delle legislazioni nazionali; quello dal basso tra chi diventa un accumulatore seriale di appartamenti e chi è costretto a trasformare la sua attività auto-imprenditoriale in un lavoro per conto terzi. Inoltre, si affitta la propria casa e si gestisce quella degli altri. Alla fine, non si ha più una casa dove vivere. Si affitta anche quella per potere sopravvivere nelle città trasformate in luna park per i turisti, inaccessibile per i suoi abitanti. «Io ho affittato la mia stanza, e non la supposta ’stanza in più’ – è una delle testimonianze raccolte nel libro – Ho dormito a casa dei vicini perché avevo affitti arretrati che non sapevo come pagare».
QUESTA ESPERIENZA di estraneazione ed espropriazione è comune a molti host nelle città trasformate in scenografie da consumare, esperienze liofilizzate che i turisti non intendono nemmeno vivere di persona. Possono anche restare nelle case affittate a guardare i video su Youtube. Lo slogan di Airbnb «viaggiare sentendoti a casa tua» è un paradosso. Lo scopo del viaggio è la scoperta. Non è «sentirti a casa tua». Per quello c’è l’abitazione in cui vivi.
Il rovesciamento dell’esperienza vissuta in un’alienazione digitale ha amplificato gli effetti sul mercato degli affitti già devastato dall’assenza di una politica per l’edilizia popolare e dell’equo canone. Solo a Roma, città ricorrente nelle inchieste di Gainsforth, è stimato dall’Istat in 210mila alloggi. L’Ater ne possiede 48mila, il Campidoglio 28 mila. Airbnb ne gestisce 30 mila, stanze comprese. Luoghi sottratti agli affitti «normali», senza contare gli altri che restano in gran parte sfitti, mentre nella Capitale esistono 12.500 famiglie in graduatoria e cinquemila in occupazione.
Quando il capitalismo delle piattaforme atterra dal cloud nelle città crea un circolo vizioso. Airbnb funziona da divaricatore sociale perché contribuisce a impedire l’accesso alla casa a chi ne è sprovvisto e cerca un affitto. Questo non avviene solo nei centri storici, ma anche nei quartieri semi-periferici delle città. Airbnb non è l’unica causa della gentrificazione delle città, ma deterritorializza la gentrificazione nei luoghi dove la piattaforma non è ancora diffusa. Così facendo amplifica il processo che trasforma le città di case senza gente e di gente senza casa in strumenti dell’accumulazione finanziaria.
NELLE PIEGHE di questo dispositivo sono nati in Europa e negli Stati Uniti nuovi movimenti sociali. Airbnb città merce li racconta dall’interno. La stessa autrice fa parte della rete Set-Sud Europa contro la «turistificazione». Il suo punto di vista coniuga la critica dell’economia politica urbana con il giornalismo di inchiesta e individua nel diritto all’abitare, inteso come diritto fondamentale degli esseri umani, la leva di una politica pubblica alternativa al nichilismo urbano e al capitalismo digitale.
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