Nella lenta agonia dell’ex Ilva che va avanti da anni, la giornata di ieri non va annoverata nell’ormai usuali «fumate nere» rispetto a una soluzione della vertenza che mai si concretizza.

I TONI USATI dai sindacati nei confronti del governo sono una novità importante così come la minaccia (reale) dello scontro e del conflitto.

Il governo Meloni infatti da mesi non riesce a trovare una linea condivisa su come affrontare la crisi e, soprattutto, la premier continua a tenersi bellamente alla larga dal tema, sempre più scabroso. Il futuro di Taranto, di 20 mila lavoratori, di «un asset industriale fondamentale per il paese» stanno colando a picco e Giorgia Meloni non è in grado di dire una sola parola al proposito.

Forse lo farà l’8 gennaio quando incontrerà Mittal, ma che trovi risolva la vertenza ci credono in pochi, anche a palazzo Chigi.
Ieri per l’ennesima volta il governo ha prospettato tre soluzioni differenti a Fim, Fiom, Uilm e Usb – accordo con Mittal, uscita concordata, salire in maggioranza per poi trovare nuovi soci – , senza essere in grado di dare alcuna certezza sulla linea e sull’esito della battaglia con il socio privato Arcelor Mittal che, con la «tagliateste» Lucia Morselli, tiene in scacco l’intera Acciaerie d’Italia da tre lunghissimi anni, senza sborsare un euro per tenerla in vita.

INDICATIVO IL FATTO CHE a parlare per il governo ieri sia stato il ministro Adolfo Urso, commisariato invece a settembre da Fitto, per volere di Meloni: «L’8 gennaio per noi è la linea rossa, c’è un piano industriale che prevede un supporto finanziario per almeno 1,3 miliardi per esigenze necessarie alla produzione, se il socio di maggioranza non risponderà alla richiesta, il governo prenderà i suoi provvedimenti per rilanciare la produzione nella fase di riconversione green», ha detto con ben poca convinzione.

«CON L’INCONTRO DI OGGI siamo a un passo dallo scontro», sibila nero in volto Michele De Palma, segretario generale della Fiom, «perché abbiamo al governo in due incontri di assumere una posizione chiara con Mittal e cioé l’assunzione di responsabilità e la salita pubblica. Ad oggi ci sono state riproposte altre due soluzioni che non vanno nella direzione auspicata e richieste dal sindacato. Quindi il governo si sta assumendo una responsabilità: il prossimo incontro è fissato dopo quello con Mittal dell’8 gennaio, ma devono sapere che o c’è un elemento di condivisione della linea o noi sceglieremo le strade per far valere le nostre ragioni nei confronti dell’azienda e di questo discuteremo con le lavoratrici e i lavoratori perché è a rischio la salute, la sicurezza, l’ambiente e il futuro dell’industria siderurgica nel nostro paese. Siamo l’unico paese che non riesce a costruire una vera transizione perché siamo ostaggio ancora oggi di un’amministratore delegato e di una multinazionale. Bisogna rompere questa situazione ed evitare l’ammistrazione straordinaria perché metterebbe in serio pericolo le garanzie occupazionali», conclude De Palma.

«PEGGIO DI COSÌ NON POTEVA andare», rimarca il segretario generale della Uilm e operaio in aspettativa a Taranto Rocco Palombella. «La situazione è drammatica da mesi. Ci avevano promesso delle soluzioni, ma soluzioni non ce ne sono, hanno continuato a dire che non c’è stato il modo di incontrare questo gruppo industriale e lo faranno l’8 gennaio ma abbiamo verificato che non c’è una posizione forte, stabile a fronte di un gruppo industriale che continua a fare quello che vuole, che continua a umiliare decine di migliaia di lavoratori, che non fa gli investimenti ambientali previsti, la produzione è ai minimi termini: non ci sono le minime condizioni per poter puntare su questo gruppo industriale. Il governo invece ha continuato a dire che verificherà se loro saranno ancora disponibili ad aumentare il capitale. Noi gli abbiamo detto che quattro anni sono sufficienti per valutare un gruppo industriale che è odiato da tutti, non per antipatie ma perché non investe e non tiene conto delle denunce dei sindacati e non rispetta i termini dell’accordo del 2018. Dal primo gennaio partirà una cassa integrazione senza accordo con i sindacati, senza piano industriale che continuerà a discriminare i lavoratori, per primi quelli delle manutenzioni. Noi dopo l’incontro del 9, valuteremo come dare battaglia».

«Il governo è fortemente preoccupato di non avere contenziosi, vertenze internazionali o penali da pagare – aggiunge il leader Fim Cisl Roberto Benaglia -. Noi abbiamo ribadito che più importante di questo è la situazione dello stabilimento e del gruppo che è in una gravissima emergenza».

«IL GOVERNO NON HA assolutamente preso in considerazione una quarta ipotesi, suggerita da noi: rescindere il contratto immediatamente e allontanare subito, senza se e senza ma, Mittal», dichiarano Francesco Rizzo e Sasha Colautti dell’Usb.