Ad un certo punto l’annuncio. «Noi da qui non ce ne andiamo». La disperazione è così tanta tra il centinaio di operai giunti da Taranto e i segretari dei sindacati metalmeccanici dopo l’ennesima fumata nera sulla vicenda dell’ex Ilva, che per oltre un’ora dopo la conclusione del vertice – che si è tenuto a Palazzo Chigi con i ministri Marina Elvira Calderone, Raffaele Fitto, Alfredo Mantovano ed Adolfo Urso – si sono rifiutati di uscire dal palazzo del governo. «Da Taranto a Genova fino a Novi Ligure non passa giorno senza che ci sia un problema che riguarda la tenuta degli impianti», dice il segretario della Fiom, Michele De Palma, alle decine di cronisti assiepati in piazza Colonna e che assediano i leader sindacali all’uscita dall’incontro.

La rabbia dei sindacalisti è esplosa dopo la decisione dell’esecutivo di aggiornare la riunione per decidere il destino della maggiore fabbrica siderurgica italiana al prossimo 29 dicembre, quando si terrà l’ultimo consiglio dei ministri del nuovo anno. «Il governo oggi non ci ha dato ancora una volta nessuna risposta – attacca De Palma – siamo stati noi a mettere sul tavolo tre scenari per uscire dalla crisi. L’intervento dello stato attraverso la salita in maggioranza, l’amministrazione straordinaria, il mantenimento dello status quo. Ma oggi il governo ha ammesso persino di non conoscere gli elementi dei patti sociali firmati con Arcelor Mittal. C’è solo una strada da percorrere, ed è quella della salita in maggioranza», conclude il sindacalista.

SULLA STESSA LUNGHEZZA D’ONDA della Fiom, anche il segretario nazionale della Uil, Rocco Palombella, che dice: «Ci ritroveremo ancora una volta a palazzo Chigi il 29 dicembre dopo il Consiglio dei ministri. Non smetteremo di lottare, oggi per la prima volta abbiamo occupato palazzo Chigi per alcune ore e siamo più determinati di prima, sapendo che i nodi non sono ancora sciolti, che c’è ancora lo spettro dell’amministrazione straordinaria e del fallimento». E poi conclude, rivolgendosi al governo, «perché si assuma la responsabilità di questa crisi che sembra non avere sbocchi. E pretendiamo rispetto per i lavoratori che molto probabilmente passeranno un natale di forte preoccupazione».

A Taranto, soprattutto, è una vigilia complicata, dove la crisi dell’ex Ilva si somma alle altre vertenze tuttora in atto, quella dei lavoratori dell’indotto della grande fabbrica, è la più visibile. Ma poi ci sono anche centinaia di operatori dei call center e i lavoratori precari dei servizi comunali che sono in stato di agitazione. Anche loro temono gli esuberi, nella città italiana che oggi ospita il maggior numero di cassintegrati.

Tornando a Palazzo Chigi, i sindacalisti dell’Unione sindacale di base, Usb, Francesco Rizzo e Sasha Colautti, uscendo dall’incontro hanno riferito di aver rappresentato la grave situazione in cui versano i lavoratori dell’appalto, e di aver spiegato «come oggi questi subiscano ricatti continui e la loro salute e i loro stipendi siano utilizzati dalla multinazionale come uno scudo umano finalizzato a assorbire ulteriori risorse pubbliche».

L’INTERO GOVERNO – il commissariato Urso che sarebbe favorevole alla nazionalizzazione, il commissario Fitto che invece continua a difendere Mittal con cui ha firmato un incredibile memorandum segreto – ha dimostrato ancora una volta di non sapere che pesci pigliare sulla spinosissima e infinita vicenda ex Ilva. Tre ore di confronto serrato con i sindacati in sala Verde, spezzate solo da un mini vertice tra i ministri. Dopo un’ora dal via, la discussione si interrompe per una riunione lampo dei ministri di circa venti minuti, poi si riprende in un clima che i sindacati definiscono «franco». Ma le risposte che si attendevano i metalmeccanici alla fine non sono arrivate. Il governo ribadisce che farà «la propria parte» e garantirà «la continuità aziendale». Ma vuole attendere di capire, all’assemblea dei soci di domani, se Mittal è disponibile o meno a investire, per poi muoversi di conseguenza. Come, però, non è assolutamente chiaro.

ED È PROPRIO RISPETTO alla situazione che vivono i lavoratori dell’appalto a Taranto che stanotte dalle ore 23.00, fino a domani alla stessa ora, scatta in fabbrica lo stato di mobilitazione proclamato dal sindacato di base. Il motivo è presto detto. La notizia del mancato pagamento delle tredicesime da parte delle imprese iscritte alla Confindustria parallela, l’Aigi. «Verranno assicurati solo gli stipendi», dicono gli imprenditori scissionisti.

E se ci sia da credergli, non si sa. Quello che è certo è che un natale di fibrillazione quello che attende la “città dei due mari”. Le prove generali si sono avute due giorni fa con la rissa avvenuta tra i banchi del consiglio comunale tra i due consiglieri, Massimiliano Stellato, uomo forte in Puglia di Italia Viva e il consigliere-telepredicatore di “Taranto senza Ilva”, Luigi Abbate, di cui il manifesto ha già raccontato le gesta. Quello che è altrettanto certo è che oggi Taranto, ancora una volta, resta un’anomalia. La capitale dell’impazzimento politico, della crisi economica, sociale e ambientale. E anche a natale non ci sarà tregua.