Le disuguaglianze non sono il prezzo inevitabile da pagare allo sviluppo, bensì il frutto di politiche sbagliate. Perché è nella colpevole ostinazione a rimanere dentro la cornice neo-liberista che si sta realizzando lo sgretolamento dei presupposti stessi della nostra democrazia.

Gli esempi, drammatici, abbondano. Il lavoro, sempre più povero, precario e in molti casi non sufficiente a uscire dalla povertà. La scuola, con l’ipocrisia strafottente della parola «merito» aggiunta al titolo del ministero, quando tutti i dati dicono che in Italia se sei povera, donna e meridionale non hai le stesse opportunità di un maschio, benestante e del nord. Il Servizio Sanitario Nazionale, attaccato in modo sempre più violento, con la salute che smette di essere responsabilità pubblica ad accesso universale in un processo di costante privatizzazione, in cui la possibilità di curarsi è subordinata alle disponibilità economiche e al luogo dove si nasce, vive, lavora.

Questo disinvestimento politico ed economico è stato preparato e accompagnato da una narrazione piegata alla propaganda dove a essere raccontata non è più stata la realtà ma la sua rappresentazione che ha modificato il senso comune del Paese. Così la povertà diventa una colpa e chi è differente o marginale non è più riconosciuto come persona ma trasformato in «categoria» negativa, come nemico opportuno su cui scaricare l’ansia e il rancore, determinati da condizioni precarie di vita e di lavoro, a cui si somma la percezione di molte e molti di essere vittime di una disuguaglianza di riconoscimento, ovvero di essere ignorati completamente dai centri, dai benestanti, dalla politica e dalle istituzioni.

In tale lacerazione si è determinata una cesura tra «margini» e centri che ha creato nel tempo fasce sempre più ampie di popolazione che non si fidano delle istituzioni (ne sono prova lampante i numeri dell’astensionismo elettorale), producendo parallelamente il terreno fertile in cui la destra ha coltivato il proprio consenso.

In questo processo, la nostra Costituzione è stata progressivamente svuotata, e con lei l’assetto istituzionale che descrive: basti menzionare la negazione più o meno evidente del ruolo del parlamento e il rifiuto di ogni dialogo sociale, o le proposte di legge su autonomia differenziata e premierato. È urgente, allora, partire dalla Costituzione, dai suoi principi e dai diritti che ne discendono per costruire un’alleanza capace di arginare tali processi e di costituire un’alternativa politica al governo delle destre. Ma per farlo occorre ricordarsi che la Costituzione, come sottolineato da Calamandrei in un famoso discorso agli studenti milanesi: «È un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere le sue promesse, la propria responsabilità». Va detto allora con chiarezza: in questi anni la sinistra e il campo progressista hanno fatto troppo poco per mettere «combustibile», per praticare e rilanciare quanto indicato dalla Carta costituzionale.

Anzi, capita spesso che questo governo di destra estrema segni a porta vuota, perché i governi di centro sinistra che lo hanno preceduto hanno contribuito a indebolire l’assetto costituzionale. I meccanismi di privatizzazione e regionalizzazione del sistema sanitario, tanto per fare un esempio, non iniziano ora. Così come gli accordi con la Libia, dietro ai quali ci nascondiamo per pagare un paese terzo per contenere i migranti in strutture-galere inumane e violente, e con i quali deroghiamo a qualsiasi principio etico, sono stati sottoscritti dal ministro del Pd Marco Minniti. La sinistra e il cosiddetto campo progressista hanno inoltre perso la capacità di rapportarsi con i settori della società caratterizzati da fatica e da marginalità, cioè con il popolo che una volta era il loro riferimento. Perché? Perché hanno scelto di colludere con il neo-liberismo, rincorrendo un moderatismo di centro che nei fatti non rispetta i principi costituzionali e non dà risposte ai bisogni delle persone.

Ripartire dalla Costituzione oggi significa quindi anche agire l’antifascismo in avanti e non soltanto in chiave difensiva. Una sorta di «antifascismo costituzionale», costruito su contenuti chiari, che sappiano parlare ai tanti che stanno male e che non sentono più appartenenza alla politica, che sentono le istituzioni lontane e spesso nemiche. Un antifascismo competente, lungimirante e soprattutto radicale, perché radicali sono i problemi e le sfide che abbiamo davanti.

Questa è la prospettiva che scegliamo nell’accogliere la proposta del manifesto partecipare alla manifestazione del 25 aprile a Milano, insieme all’Anpi. Vivere l’antifascismo come proposta concreta per definire un’alternativa alla destra non è semplicemente una scelta giusta, bensì una urgenza democratica. E il “Forum DD” la riconosce con convinzione: parteciperemo, e promuoveremo la partecipazione in tutte le nostre assemblee, per rendere la Liberazione un nuovo inizio. Nel nome della Costituzione.

*L’autore è co-coordinatore del Forum Disuguaglianze Diversità