Visioni

Adriana Calcanhotto, la curiosità di un’immaginazione «Errante»

Adriana Calcanhotto, la curiosità di un’immaginazione «Errante»Adriana Calcanhotto – foto Ansa

Note persone Ritorna con un nuovo album l'artista brasiliana

Pubblicato più di un anno faEdizione del 25 aprile 2023

Sembra riprendere il filo dell’album che nel 2012 quella che è ormai una delle grandi protagoniste della canzone brasiliana, Adriana Calcanhotto, aveva dedicato al conterraneo Lupicinio Rodrigues, affetto da un pernicioso Micróbio do Samba (questo il titolo di quel lavoro) che lo costringeva a suonare la classica scatolina di fiammiferi durante le ore scolastiche. Di certo ha ripreso quella stessa banda, a costruire suoni di raffinata ricercatezza per navigare mari e deserti con animo Errante, che nel nome del disco tiene insieme andatura ed errore. Il samba declinato in geografia e storia, dalle roda baiane alle pene d’amore, che si riflette nel maxixe degli anni 20 del 900 in Larga tudo e si proietta nel funk carioca della drum machine di Domenico Lancellotti in Prova dos nove, e surfa fra bossa geometrica e tropicalismo dal sapore esportazione della stagione londinese dei primi 70.

INSIEME a Lancellotti alla batteria, ci sono il piano languido di Alberto Continentino che assicura anche basso e lira, e le chitarre di Davi Morae, che con Adriana firmano anche la produzione. D’appoggio una lussuosa sezione sax, tromba e trombone con Jorge Continentino, Diogo Gomes e Marlon Sette a dividere i fiati con la voce della Calcanhotto.

Il samba declinato in geografia e storia, dalle roda baiane alle pene d’amore, che si riflette nel maxixe degli anni 20 del 900 in Larga tudo e si proietta nel funk carioca della drum machine di Domenico Lancellotti in Prova dos nove

La critica brasiliana sottolinea una confusione produttiva a carico dell’etichetta che licenzia il lavoro, la tedesca Modern Recordings del gruppo BMG, ma seppure si sconta una certa incertezza, è nel gioco dell’errore, e dell’errare a cavallo fra i Continenti, forse, e certo non si ritrova nella scrittura, testuale e musicale, della nostra, che irretisce di parola cristallina.
E nell’invito a entrare nella «casa (che) è il corpo» l’istallazione della Lygia Clark del 1968 – chiude il suo decimo album da studio sostanziando il nomadismo, quell’essere senza porto che fa del corpo la casa in cui riceve, e che ci consegna.

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