Visioni

Accabadora, radiografia interiore in una Sardegna oltre il tempo

Accabadora, radiografia interiore in una Sardegna oltre il tempoAnna Della Rosa in una scena di «Accabadora» – foto di Marina Alessi

A teatro Veronica Cruciani riporta in scena la pièce di Michela Murgia, protagonista Anna Della Rosa

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 15 giugno 2024

La pièce teatrale Accabadora di Michela Murgia era già stato messa in scena, qualche anno fa, da Veronica Cruciani, protagonista Monica Piseddu. Ora la regista ha ripreso il testo della scrittrice sarda, nei giorni scorsi all’Argentina con Anna Della Rosa protagonista, e la riduzione per la scena di Carlotta Corradi. Chiaramente un monologo è destinato a cambiare con il cambio di interprete, di cui il personaggio va ad assumere caratteristiche e posture fisiche.
L’elemento fondamentale resta però il racconto, tra tradizione antropologica antica e coscienza della contemporaneità. Il «mestiere» indicato dal titolo è quello di una donna (cui la protagonista fu affidata bambina) che autorevolmente accompagna alla morte malati terminali o comunque creature «senza speranza», attitudine sociale nella lontana tradizione sarda. Lei non appare però, è per la sua morte che torna a quel luogo la nipote che le fu affidata. E che nel frattempo è fuggita lontano, «in città», impressionata dalla scoperta del ruolo sociale della donna cui era stata data. I suoi contrastanti sentimenti oscillano tra la condanna (o anche solo l’incomprensione razionale, a tratti violenta) del ruolo di quella madre putativa, e lo scavo nella complessità di un ruolo, le sue doti e i suoi valori.
Racconto tra tradizione antropologica antica e coscienza contemporanea

È UNA SORTA di radiografia interiore, quella descritta da Murgia, che vive, si veste e si traveste nei dubbi, le ambiguità ma anche la forza, morale, oltre che comportamentale, che la ragazza gratta via, disegnando attraverso quel mitico personaggio la sua giovane vita. Il testo di Murgia (pubblicato da Einaudi) offre una fascinazione forte e sentimenti contrastanti. Non solo al respiro di quella ragazzina adottiva, ma anche nello spettatore, oltre naturalmente che al lettore.
Murgia amava, come ogni rappresentazione del mondo, e gli estremi che la scrittura può lambire quasi più dell’esperienza, il teatro. E ancor più Grazia Deledda, alla cui rilettura ha partecipato con ricchezza di argomenti. Resta indimenticabile quando ella stessa volle vestire in scena il personaggio della scrittrice, colta nel momento in cui sarebbe dovuta partire per ritirare il Nobel a Stoccolma (vista qualche anno fa proprio a Roma al teatro India). Il testo di Quasi Grazia era di Marcello Fois , e la regia della stessa Cruciani.

IN QUESTA Accabadora esiste certo anche l’evocazione di Deledda e del suo lavoro sulla cultura sarda: rispetto ai mondi che Canne al vento sprigiona, la scrittura di Michela Murgia dà corpo ai fantasmi, e cambiamenti e conflitti, che oggi ne susseguono. Per questo funziona fedelmente il train de vie postindustriale e molto a noi contemporaneo, della donna protagonista e ormai consapevole, di sé e della Accabadora. Del novecento si vedono caduti illusioni e miraggi, unica salvezza il rifugio nel sogno, e nella consapevole parola.

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