Accanto alla leadership governativa, dimostratasi incapace di tutelare la nazione dal baratro in cui è precipitata, sul banco degli imputati spiccano anche tecnologia, logistica e infrastrutture che, a una settimana dall’inizio del peggiore incubo israeliano di tutti i tempi, continuano a dimostrarsi difettose, imprecise e inadeguate.

NON SONO SOLO le segnalazioni ignorate da Netanyahu ad aver consentito a Hamas di aggirare l’esperta intelligence israeliana. Secondo gli esperti, infatti, Israele si sarebbe affidata eccessivamente alla tecnologia riducendo il capitale umano preposto alla sicurezza nonché ignorando eventuali malfunzionamenti.

È il caso ad esempio dei tre palloni di osservazione che fungevano da prezioso strumento di monitoraggio della zona sud al confine con Gaza. I palloni sarebbero caduti e risultati fuori uso già da alcune settimane senza che nessuno si fosse preoccupato di ripararli o sostituirli prontamente.

Anche in seguito alla mobilitazione generale gli “incidenti” tecnologici, uniti a evidenti difficoltà logistiche, hanno continuato a verificarsi e il paese, pur guadagnando terreno, è tuttora per molti aspetti nel caos.

Dal prelievo di dna ai parenti delle vittime e degli ostaggi, al riconoscimento dei cadaveri, dai trasporti di soldati e riservisti, alle forniture di cibo e indumenti, nulla è sembrato funzionare secondo le aspettative se non grazie ai cittadini che da sabato scorso si adoperano senza sosta su base volontaria, dimostrando forza d’animo, intraprendenza e solidarietà ammirevoli. Tra le iniziative di volontariato che circolano sulle chat sotto forma di liste lunghissime spiccano: ospitalità, trasporto di persone e soldati, servizi di baby sitter per bambini e animali, donazioni di sangue, raccolte di fondi e di beni di prima necessità, assistenza agli anziani, invio e preparazione di cibo e persino richieste di latte materno.

INOLTRE, solo questa settimana due comunicazioni inoltrate per errore dalla Protezione civile hanno letteralmente seminato il panico nel paese portando la popolazione, prima a svaligiare i supermercati e, successivamente, a chiudersi nei rifugi muniti di attrezzature e viveri, convinti di dovervi trascorrere intere giornate. Seppure prontamente smentite, entrambe le notizie si sono rivelate fonte di disagio e tensione che infieriscono su sistemi nervosi già provati al limite dell’umano. In base alla ricerca, infatti, gli israeliani sono attualmente esposti in massa al cosiddetto acute stress disorder (asd) che caratterizza il lasso di tempo che va dalle quarantotto ore al mese successivo all’inizio dell’evento traumatico. Come se non bastasse dai dati emerge che oltre due milioni e mezzo di israeliani vivono ancora in abitazioni prive di rifugi e protezione adeguata contro gli attacchi missilistici. Tra queste si annoverano soprattutto i vecchi condomini di Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme.

Alla rabbia nei confronti del governo si aggiunge dunque un sentimento diffuso di sfiducia nei confronti delle istituzioni in generale. Per decenni Israele si è guadagnata la fama di nazione all’avanguardia soprattutto nel campo della cybersecurity affermandosi pronta ad affrontare qualsiasi evenienza. Eppure la realtà prova che le falle nel sistema sono molte e la paura delle conseguenze sale di giorno in giorno.