Doveva essere un grande processo, severo e imponente, in grado di spargere il terrore tra gli attivisti delle ong che si prendono cura dei migranti sbarcati sulle coste greche. Ora però rischia di crollare di fronte alla fretta, l’ignoranza e la cecità delle autorità di polizia che ne hanno minato le fondamenta.

Si parla del processo ai 24 imputati dell’organizzazione Erci (Emergency Respons Center International) iniziato lunedì alla Corte penale dell’isola di Lesbo. Ieri la Corte ha annunciato la cancellazione di una serie di atti di accusa, tra i più gravi. Decisione che potrebbe ridurre tutto il processo a una pura formalità, si va verso la prescrizione. «Questa non è giustizia! La giustizia sarebbe stata un processo quattro anni fa in cui saremmo stati scagionati» ha commentato in un video pubblicato su Twitter l’attivista tedesco e irlandese Sean Binder fuori dal tribunale di Lesbo.

Il reato più grave tra quelli compresi nell’atto d’accusa steso dalla polizia di Lesbo è quello dello spionaggio. Gli attivisti avrebbero infatti seguito dal loro battello le comunicazioni radio della Guardia Costiera greca e turca, in modo da rintracciare al più presto i battelli con i migranti e condurli verso l’isola. Gravi anche le altre accuse, come la falsificazione, in base alle quali gli imputati rischiavano una condanna fino a 8 anni di detenzione ciascuno.

Per la verità, già all’inizio del dibattimento, lunedì scorso, la presidente della Corte aveva fortemente redarguito le forze di polizia e lo stesso pubblico ministero. Si è scoperto infatti che la legge sul presunto “spionaggio” delle frequenze è dell’epoca della guerra civile ed è stata abrogata molti decenni fa. La presidente della Corte era ancora più inalberata ieri, dopo che anche l’Ufficio dell’Alto Cimmissario per i diritti dell’uomo delle Nazioni Unite aveva chiesto il ritiro di tutte le accuse contro i 24 imputati: «Questo tipo di processo è davvero preoccupante perché criminalizza azioni che salvano la vite delle persone» ha dichiarato la sua portavoce Elizabeth Throssell a Ginevra.

I volontari sono entrati nel mirino della polizia greca per aver aiutato decine di migranti che stavano annegando nell’Egeo. In un barcone c’erano le rifugiate siriane Sarah Mardini e sua sorella Yusra, ambedue campionesse di nuoto che non hanno esitato a lanciarsi in mare e guidare a nuoto il barcone verso la salvezza. Anche se il suo caso ha commosso l’Europa e la sua storia è diventata una serie di Netflix, qualche anno più tardi, dopo aver preso la cittadinanza tedesca e aderito a un’organizzazione di solidarietà, Sarah Madrini è stata arrestata dalla polizia greca che ha lanciato contro di lei le pesantissime accuse che ora sono crollate. Ieri non era presente in tribunale poiché la Grecia le vieta l’ingresso per questioni di sicurezza nazionale.

Da molti anni il governo Mitsotakis sta spargendo il terrore nelle isole dell’Egeo, usando metodicamente il sistema di accusare chiunque di essere un trafficante. Come nel caso del giovanissimo arabo di nome Mohamed che ha preso il timone per salvare il barcone e i suoi 33 passeggeri e per questo è stato considerato un trafficante di esseri umani e condannato a ben 142 anni di detenzione. Solo pochi giorni fa, dopo quattro anni di galera, Mohamed è uscito di prigione.

Più di recente il capo dei procuratori Isidoros Doyakos ha ricevuto pressioni dai giornalisti di destra e ha chiesto alla Corte dell’isola di Kos di processare e condannare il direttore dell’Osservatorio greco degli Accordi di Helsinki Panayotis Dimitras. Detto fatto, la settimana scorsa a Dimitras è stato puntualmente vietato di occuparsi di diritti dell’uomo, di visitare le isole dell’Egeo, di lasciare il paese. Senza alcuna condanna, né imputazione, con una semplice decisione del procuratore. Come se in colonnelli fossero ancora al potere.