Internazionale

A Gaza quattro ore di pausa al giorno. L’accordo Usa è al ribasso

A Gaza quattro ore di pausa al giorno. L’accordo Usa è al ribassoRafah, sud di Gaza: bambini in fila per un pasto caldo – Ap/Abed Rahim Khatib

Ore contate Stop alle bombe solo a nord. E la finestra cambierà di volta in volta. L’Onu: così non possiamo operare. Tre ong palestinesi chiedono all'Aia un mandato d’arresto per Bibi, i familiari delle vittime gli «assaltano» la casa. Intanto a Gaza gli uccisi arrivano a 10.800

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 10 novembre 2023

L’accordo che la Casa bianca ha strappato al gabinetto di guerra israeliano è al ribasso: nessuna pausa umanitaria, figurarsi un cessate il fuoco, ma quattro ore al giorno di stop ai bombardamenti solo nel nord di Gaza, che cambieranno via via.

Ogni giorno Israele comunicherà tre ore prima quando la finestra si aprirà, rendendo più complesso organizzare evacuazioni, fughe a sud, consegna di aiuti. Lo dice il portavoce del segretario generale Onu: ogni pausa va coordinata con le Nazioni unite per essere efficace, per sfruttare ogni minuto e ogni spazio libero dalle bombe.

È IL RISULTATO del lungo tira e molla tra Casa bianca e Tel Aviv, tra il presidente Biden e il primo ministro Netanyahu, per dare a Gaza un po’ di respiro. A darne conto è il portavoce della presidenza, John Kirby: «Ci è stato detto oggi dagli israeliani che non ci saranno operazioni militari in quelle aree durante la pausa, a partire da oggi». «Ci è voluto più tempo del previsto» per convincere Netanyahu, il commento a caldo di Biden. E comunque, ha aggiunto, «io avevo chiesto un giorno o due di pausa militare».

Per il ministro della sicurezza nazionale, l’ultranazionalista Ben Gvir, si tratta di «un errore madornale» perché «dobbiamo continuare a combattere» e perché il gabinetto di guerra «non ha autorità per permettere delle pause».

Per Netanyahu una mossa che costa poco ma che può calmare l’alleato Usa. Anche a fronte del rifiuto, quello sì più significativo, del cessate il fuoco di cinque giorni proposto dal movimento islamista Hamas in cambio del rilascio di alcuni dei 240 ostaggi, civili e militari, a Gaza dal 7 ottobre scorso.

A parlare del nuovo rifiuto sarebbero fonti vicine al premier. I negoziati però vanno avanti: ieri i capi dei servizi segreti di Israele e Stati uniti, David Barnea per il Mossad e William Burns per la Cia, erano in Qatar dove hanno visto il premier al-Thani, il giorno dopo il meeting tra una delegazione qatarina e l’ufficio politico di Hamas a Doha: sul tavolo il rilascio di 10-15 ostaggi per 24-48 ore di tregua.

Da parte sua il Jihad islami, che ne ha in mano una parte, si è detto pronto a rilasciarne due – il 13enne Yagil Yaakov e una donna di 77 anni, Hanna Katzir, del kibbutz Nir – per «motivi umanitari». In serata un gruppo di manifestanti, tra cui familiari degli ostaggi, hanno tentato di abbattere le transenne a protezione della villa del miliardario Simon Falic, attuale residenza di Benyamin Netanyahu.

A GAZA, intanto, si contano i morti. Così tanti che Washington ieri ha fatto un piccolo passo indietro rispetto allo scetticismo sul bilancio del ministero della sanità di Gaza. Barbara Leaf, assistente del segretario di stato per il Vicino Oriente, si è spinta a dire che il numero degli uccisi «potrebbe essere molto più alto» di quello ufficiale.

Più alto di 10.800, un numero già impressionante che è finito alla Corte penale internazionale: tre organizzazioni palestinesi per i diritti umani – Al-Haq, al Mezan e Palestinian Centre for Human Rights – hanno presentato all’Aia una denuncia per crimini di guerra, apartheid e genocidio commessi dalle autorità israeliane in Cisgiordania e a Gaza. Insieme ai nuovi documenti – che si aggiungono alla mole di quelli presentati in questi anni – arriva la richiesta di spiccare mandati d’arresto per il premier Netanyahu, il presidente Herzog e il ministro della difesa Gallant.

Nella lista ci sono i bombardamenti di ambulanze e ospedali e dei quartieri dove le cliniche si trovano (oltre allo stop al carburante che impedisce di farle funzionare). Ieri l’artiglieria israeliana ha colpito il cortile dello Shifa, a Gaza city, e provocato danni al reparto di radiologia del Nasser Medical Complex di Khan Yunis, a sud. Un video in serata mostrava raid lunghi un minuto e mezzo delle vicinanze dell’Indonesian Hospital. Ci sarebbero vittime. Colpita anche la banca del sangue.

NEGLI OSPEDALI è l’inferno. «Orrendo, impossibile da descrivere», diceva ieri a Middle East Eye un giovane studente di medicina, volontario all’al-Aqsa: «Due giorni fa hanno portato una busta piena di pezzi di corpi. Un uomo ha identificato la nipote dalla mano e un altro parente dalla gamba. Gli altri non è riuscito a riconoscerli». Ha poi parlato delle ferite più comuni, fratture e ustioni di terzo grado. Di amputazioni di arti a causa delle infezioni che non si è riusciti a curare subito.

Il chirurgo Ahmed Mokhallalati dello Shifa ha provato a descrivere ad al Jazeera come si opera a un mese dall’inizio dell’offensiva israeliana: poche o nessuna anestesia, ferite disinfettate con l’aceto, turni lunghi giorni interi e medici sfiniti. «Uccidono metà delle persone direttamente, l’altra metà la uccidono con le mancate cure». A nord come a sud.

È qui che si concentra il 30% degli uccisi, secondo Medici senza Frontiere, nella parte meridionale di Gaza dove Israele sta cercando da settimane di espellere un milione e mezzo di persone che vivono a nord. Un esodo che ormai è continuo, ieri si sarebbero messi in marcia altri 80mila palestinesi.

A nord si combatte anche via terra e un freno ai bombardamenti non si è ancora registrato. Nel mirino, ancora, i campi profughi: almeno 30 uccisi ieri in quello di Jabaliya, il più grande e il più martoriato.

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