Internazionale

Il 7 ottobre che divide Israele

Persone si abbracciano tra le macerie del Kibbutz Be'eri durante il primo anniversario dall’attacco di HamasPersone si abbracciano tra le macerie del Kibbutz Be'eri durante il primo anniversario dall’attacco di Hamas – Ap

Un anno dopo Le cerimonie per ricordare le 1200 vittime dell’attacco di Hamas: da un lato il governo, dall’altro le famiglie degli ostaggi. Polemiche contro il primo ministro che non ha saputo riportare a casa gli ostaggi. A Tel Aviv la rabbia di chi è deluso per il mancato accordo sullo scambio di prigionieri con Hamas

Pubblicato circa 16 ore faEdizione del 8 ottobre 2024
Michele GiorgioGERUSALEMME

Nel giorno che descrive come il suo Olocausto, in cui nelle grandi città come nelle piccole comunità si sono svolte cerimonie e riti religiosi in memoria dei circa 1200 soldati e civili rimasti uccisi il 7 ottobre 2023 nell’attacco di Hamas, Israele si scopre diviso. Non è bastato a nasconderlo provare a far emergere solo il dolore e il cordoglio della nazione per quanto è accaduto un anno fa. Il governo e le autorità locali hanno tenuto le loro iniziative, in forme più contenute rispetto a quelle progettate inizialmente dalla ministra Miri Regev. Invece le famiglie degli ostaggi e delle vittime, i kibbutz ed i centri colpiti dall’attacco, hanno scelto un’altra strada e di riunirsi ieri sera al parco Yarkon di Tel Aviv.

Con l’aiuto di tre schermi giganti, familiari in lutto, sfollati e parenti degli ostaggi in video registrati hanno raccontato il loro 7 ottobre. Tanti fra il pubblico indossavano magliette con la scritta «Bring Them Home» o con i volti degli ostaggi vivi e morti.

Inevitabile, è riaffiorata la polemica con il premier Netanyahu che non ha mai davvero scelto la strada dell’accordo di tregua con Hamas e di uno scambio di prigionieri. Rafi Ben Shitrit, il cui figlio, Shimon, è stato ucciso il 7 ottobre, è intervenuto per chiedere che una commissione d’inchiesta faccia subito luce su quanto accaduto un anno fa e porti alla luce tutte le responsabilità. Netanyahu ha resistito sino ad oggi. Afferma che qualsiasi indagine deve attendere la fine della guerra. Un modo per evitare che l’inchiesta possa riflettersi negativamente su di lui. «Chiedo da questo palco la formazione di una commissione d’inchiesta statale, per indagare in modo approfondito ed esteso sul disastro del 7 ottobre», ha esortato Ben Shitrit. Il pubblico, rimasto in silenzio per tutta la cerimonia, è esploso in un applauso.

A Reim ieri, sul luogo del festival musicale Nova, dove secondo le autorità israeliane gli uomini di Hamas uccisero oltre 300 persone e sequestrarono una parte dei circa 250 israeliani presi in ostaggio, il capo dello stato Haim Herzog ha cercato di ricucire lo strappo tra lo Stato e chi è deluso e arrabbiato per il mancato accordo per uno scambio di prigionieri con Hamas. E anche per l’immunità che, credono in tanti, il primo ministro sta provando a costruirsi con la sua guerra infinita.

La folla a Reim ha dato il via alle cerimonie con un minuto di silenzio alle 6.29, ora di inizio dell’attacco del movimento islamista palestinese. Nello stesso momento a Gerusalemme, nei pressi della residenza di Netanyahu, circa 400 persone, guidate dalle famiglie degli ostaggi, hanno osservato anche loro un minuto di silenzio per i morti, mentre suonava una sirena. «Volevamo iniziare questa giornata insieme per ricordare a noi stessi, al primo ministro e al popolo israeliano che, anche se è un giorno di dolore, esiste ancora una sacra missione: riportare indietro gli ostaggi», ha ricordato Yuval Baron, il cui suocero Keith Siegel è tenuto in ostaggio.

Netanyahu ieri ha ripetuto che il suo impegno è liberare gli ostaggi, ma i detrattori dicono che a occupare i suoi pensieri è la crociata che ha avviato per sconvolgere gli equilibri mediorientali e garantire a Israele l’egemonia regionale a danno dell’Iran. «Siamo stati colpiti duramente, ma ci siamo rialzati come leoni» ha detto il primo ministro e leader della destra religiosa partecipando a una commemorazione di cittadini israeliani di Gerusalemme uccisi nell’ultimo anno. A quanto pare ha un nuovo nome per l’operazione «Spade di ferro» cominciata il 7 ottobre contro Gaza e ora in tutto il Medio oriente. Si chiamerà «Guerra della resurrezione», ha rivelato la Cnn.

Netanyahu parla di «guerra della resurrezione per garantire che non accada mai più»

Questa, ha detto Netanyahu durante la riunione del governo, è «la Guerra della resurrezione per garantire che il 7 ottobre non accada mai più. Questa è una guerra per la nostra esistenza» e, ha aggiunto, non finirà finché non saranno completati tutti i suoi obiettivi, tra cui la distruzione di Hamas e il ritorno dei cittadini israeliani ai loro centri abitati a ridosso del confine con il Libano. Netanyahu si è guardato dal fare riferimento all’indagine chiesta ieri sera al parco Yarkon su uno dei peggiori fallimenti di sicurezza per un paese che si vanta di un esercito forte e di servizi segreti infallibili. L’attacco di Hamas ha infranto la certezza sull’invincibilità di Israele.

Gerusalemme, la richiesta del rilascio degli ostaggi rapiti da Hamas nel primo anniversario dell'attacco contro Israele, sotto la casa di Benjamin Netanyahu
Gerusalemme, la richiesta del rilascio degli ostaggi rapiti da Hamas nel primo anniversario dell’attacco contro Israele, sotto la casa di Benjamin Netanyahu foto di Mahmoud Illean /Ap

Adesso, lascia intendere Netanyahu, Israele ha ristabilito la sua deterrenza e compiuto, anche con l’eliminazione fisica dei leader nemici, la rappresaglia o, meglio, la vendetta, voluta da una buona parte dei suoi cittadini contro i palestinesi. Le Forze armate ieri snocciolavano le cifre della ritorsione. Nell’ultimo anno, nella Striscia di Gaza, Israele ha bombardato più di 40.000 obiettivi, scoperto 4.700 tunnel e distrutto 1.000 postazioni di lanciarazzi. Non solo, avrebbe ucciso più di 800 «terroristi» in Libano dove sono stati colpiti 4.900 obiettivi dall’aviazione.

Le Forze armate israeliane però ammettono che, malgrado il paese sia dotato di uno dei sistemi di difesa aerea più avanzati al mondo, Hamas da Gaza è stato in grado di lanciare 13.200. Altri 12.400 sono stati sparati dal Libano, 180 dallo Yemen. E si deve considerare che tra le macerie di Gaza e del Libano del sud i combattenti di Hamas e Hezbollah continuano a resistere e ad infliggere perdite all’esercito israeliano.

Un anno dopo il 7 ottobre e decine di proclami di «vittoria totale» da parte di Netanyahu, Hamas ieri è stato in grado di lanciare razzi contro Sderot e il sud di Israele e poi altri cinque verso Tel Aviv dove non sono stati tutti intercettati e hanno causato il ferimento di due persone. Altri 180 razzi sono stati lanciati da Hezbollah. «L’Alluvione di Al-Aqsa (il 7 ottobre, ndr) ha riportato l’occupazione al punto zero e ha minacciato l’esistenza di Israele», ha commentato uno dei capi di Hamas Khaled Meshaal alla tv Al Arabiya.

Si aspetta nel frattempo l’attacco di Israele all’Iran responsabile del lancio di 181 missili verso Tel Aviv in risposta all’«assassinio mirato» da parte dello Stato ebraico del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh.

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