C’è un grande murale nel cortile di Radio Popolare. Lo abbiamo voluto qualche anno fa, per colorare un po’ il grigio di questa nostra palazzina tanto viva e rumorosa dentro quanto sobria e anonima fuori.

È un murale che rappresenta alcune tappe della nostra storia e alcune persone che resteranno sempre parte di essa. Ci sono Dario Fo e Franca Rame, per esempio. E c’è un ragazzo al telefono, zainetto su una spalla, in testa un cappello a tesa larga che protegge anche la sigaretta dal diluvio. Tutti attorno a lui hanno l’ombrello.

Era un distesa di ombrelli quel giorno piazza Duomo a Milano: era il 25 aprile 1994. E lui era Marco Formigoni, uno dei nostri giornalisti che con i cellulari in prestito raccontavano per radio quello straordinario corteo per l’anniversario della Liberazione.

la copertina del manifesto del 26 aprile 1994
che Liberazione, la copertina del manifesto del 26 aprile 1994

«Che Liberazione», titolò il manifesto all’indomani, ed era stato davvero così: una sensazione speciale di poter prendere in mano l’opposizione al neonato Governo Berlusconi, che portava nelle stanze del potere gli eredi della Repubblica di Salò.

Diciamo la verità: quello che è successo dopo, in questi trent’anni, ha in buona parte deluso le aspettative di quel popolo antifascista.

I partiti della sinistra hanno deluso le aspettative, siamo arrivati a un tasso di astensionismo che cresce ad ogni tornata elettorale. Il tessuto sociale, che è il terreno in cui affondare le radici di un’opposizione dal basso, si è progressivamente disgregato. E l’antifascismo, con ogni evidenza, è patrimonio di una parte non maggioritaria di questo Paese dalla memoria troppo corta.

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Ma in questi trent’anni dal 1994 la Milano democratica ha sempre presidiato l’anniversario della Liberazione, con uno sforzo unitario che ha saputo ogni volta andare oltre le divisioni del momento.

Vorrei dire abbiamo tenuto accesa una fiammella, ma la fiamma non mi piace e comunque quella da tenere viva in questo caso era una goccia. Sì perché la pioggia battente di quel 25 aprile straordinario ce la sentiamo ancora addosso, nelle ossa, e quando ci ripensiamo è una gran bella sensazione.

Quest’anno non solo abbiamo al Governo la Destra peggiore che sia mai circolata in Italia, ma il pericolo che incombe sulle elezioni europee è quello di un successo dei fascismi più o meno somiglianti a quello che abbiamo sconfitto 79 anni fa.

Tornano, sono tornati, sono andati al Governo, vogliono occupare anche le istituzioni comunitarie, quelle costruite dopo la Guerra perché la Guerra non avesse più posto nella Storia.

In Italia vogliono cambiare la Costituzione, minando dalle basi la Democrazia che hanno costruito con paziente dialogo i nostri Costituenti. Cattolici, comunisti, socialisti, liberali, perfino monarchici. E fa ancora più male che la «madre di tutte le riforme» (cit. Giorgia Meloni) venga portata avanti proprio dagli eredi di quelli che allora non c’erano, che non erano nella Costituente perché erano gli sconfitti dalla Storia.

Oggi dunque è tempo di barrage républicain, come fanno i francesi quando la Democrazia è in pericolo.

In piazza a Milano il 25 aprile ci saranno tante bandiere: portiamole, senza nascondere le differenze, sappiamo che tanti e tante sfileranno col pensiero a Gaza o agli ostaggi che ancora sono nelle mani di Hamas.

Queste guerre drammatiche alle porte dell’Europa occupano le menti e i cuori forse più del pericolo fascista alle elezioni europee.

Ma non perdiamo di vista l’avversario comune e lo spirito unitario che fu del Cln: la bandiera che sventola più alta deve essere quella dell’antifascismo.

Radio Popolare ha accolto e fatto suo l’appello del manifesto, perché quest’anno sfili una manifestazione più grande del solito. Con la pioggia, col sole. Con voi.

*direttrice di Radio Popolare