Sono passati dieci anni dalla strage di Odessa in cui morirono almeno 48 manifestanti filorussi e ne rimasero feriti altri 240 per mano di gruppi nazionalisti e neo-nazisti ucraini. Molti di loro furono intrappolati nel Palazzo dei sindacati della città portuale che fu dato alle fiamme e arsero vivi. Il tragico episodio, che segnò una delle pagine più nere della storia ucraina recente, non è mai stato indagato a fondo dai tribunali di Kiev e ad oggi non ci sono ancora state condanne per quell’eccidio. Mosca ha sempre usato la commemorazione del 2 maggio 2014 come una prova dell’oppressione subita dai russofoni nel territorio ucraino e anche ieri la portavoce del ministero degli Esteri russo non ha mancato di ricordare la strage auspicando «la fine del regime dei neonazisti».

Ciò che accadde non è mai stato chiarito del tutto, ma sappiamo che a Odessa un nutrito gruppo di manifestanti si era organizzato per opporsi a ciò che, contemporaneamente, stava portando tutta l’Ucraina ad allontanarsi dall’influenza di Mosca a partire dalle proteste di Piazza Maidan a Kiev. Dopo diversi momenti di tensione per le strade della città, i manifestanti filorussi furono costretti a riparare nella grande piazza di Kulikovo, tra la stazione ferroviaria e la Casa dei sindacati. Gli aggressori circondarono il palazzo e appiccarono un incendio. Ai soccorritori e ai pompieri fu impedito di passare. Il numero ufficiale dei morti si attestò a 48. «Tuttavia, secondo stime non ufficiali», si legge sul sito del Parlamento europeo, «i caduti potrebbero essere anche 150, cui vanno aggiunte diverse centinaia di feriti scampati per poco all’eccidio. Inoltre, secondo la stessa fonte, «numerosi indizi suggeriscono che non è stato il presunto incendio dell’edificio a uccidere coloro che si trovavano all’interno, lì rifugiatisi per non essere massacrati in strada, bensì sono stati colpi di arma da fuoco o armi di altro genere».

Amnesty International, l’Ocse e diversi governi (tra cui quello italiano) chiesero alle autorità ucraine di istruire un processo imparziale ma Kiev non ha mai mostrato una seria volontà di andare in fondo a questa storia che ormai sembra vivere solo nelle fotografie e nei biglietti lasciati dai parenti delle vittime che ogni anno, controllati da vicino dalla polizia, si avvicinano silenziosamente al Palazzo dei sindacati per ricordare i propri cari.