Zone del Prosecco patrimonio Unesco, il sì alla «core zone» boccia le zone in pianura
Gentile Direttrice, la risposta di Innocente Nardi (Presidente del Consorzio Tutela del Vino Conegliano Valdobbiadene Prosecco) agli articoli di Maurizio Giufré e Francesco Bilotta (l’ExtraTerrestre 11/7/2019), oltre ai due commenti […]
Gentile Direttrice, la risposta di Innocente Nardi (Presidente del Consorzio Tutela del Vino Conegliano Valdobbiadene Prosecco) agli articoli di Maurizio Giufré e Francesco Bilotta (l’ExtraTerrestre 11/7/2019), oltre ai due commenti […]
Gentile Direttrice,
la risposta di Innocente Nardi (Presidente del Consorzio Tutela del Vino Conegliano Valdobbiadene Prosecco) agli articoli di Maurizio Giufré e Francesco Bilotta (l’ExtraTerrestre 11/7/2019), oltre ai due commenti in calce di questi ultimi (il manifesto 27/7/2019) credo meritino alcune sintetiche considerazioni.
Il riconoscimento come Patrimonio dell’Umanità delle colline del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene è avvenuto escludendo la pianura dalla core zone, area centrale del sito connotata dal paesaggio dei ‘ciglioni’ e della cosiddetta ‘viticultura eroica’.
La core zone ospita i più preziosi valori paesaggistici, storico-culturali e, in certi casi, etno-antropologici, nonostante l’accecante presenza di cisterne a cielo aperto (ritenute da certuni parte integrante del paesaggio).
Questa zona non è stata (e non è tuttora) esente da stress dovuti a diffusi fenomeni erosivi (come evidenziano studi dell’Università di Padova), all’utilizzo massiccio di agro-farmaci e di prodotti fitosanitari.
Se il glifosato è stato bandito da 15 Comuni dell’area Docg non lo sono ancora il Curame, il Karathane Star, il Sivanto, il Dimetomorf, il Ridomil Gold, il Quantum L, per citarne soltanto alcuni, il cui uso è intensivo e ripetuto.
Alcuni rischi sanitari e ambientali connessi sono noti e indicati dalle stesse case fornitrici, ma altri lo sono di meno per carente classificazione chimico-fisica delle sostanze e per assenza di test orientati.
Sono trascurati (perché di difficile stima e non perché assenti) i rischi dovuti ad effetti cumulativi su lavoratori, residenti e consumatori, sulla qualità dei suoli e delle acque, oltre che sulla biodiversità in generale.
Mi sembra che il riconoscimento della core zone sia una sostanziale bocciatura della poderosa strategia di colonizzazione di crescenti superfici a prosecco (vedi studi Iuav Università di Venezia).
Questa strategia è stata favorita da note lobby private e tollerata da istituzioni pubbliche senza alcuna valutazione degli effetti duraturi sulle forme di conduzione (i contratti d’affitto meriterebbero attenzione specifica), sulle caratteristiche intrinseche dei suoli, ma anche sulla continuità eco-sistemica e sulla bionomia del paesaggio agrario. L’utilizzo massiccio di strutture metalliche, la gestione idraulica forzata e i rischi di desertificazione dovuti al compattamento dei suoli iniziano a produrre effetti anche sulle variazioni di temperatura, interessando, fra l’altro, l’area buffer e l’area commitment del nuovo sito Unesco.
Il referente giuridico dell’operazione, già impegnato nel depotenziamento delle leggi di governo del territorio e nella deregulation urbanistica della Regione Veneto, ritiene più che sufficiente promulgare ‘linee di indirizzo’ senza alcun riferimento a strumenti operativi che le straordinarie ’figure di paesaggio’ del luogo potrebbero suggerire, come indicato dai criteri culturali e naturali dell’Unesco.
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