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Zingaretti: «Pd pilastro dell’alternativa». Ma i renziani: meno voti di Bersani

Zingaretti: «Pd pilastro dell’alternativa». Ma i renziani: meno voti di BersaniNicola Zingaretti, segretario Pd – LaPresse

Il segretario esulta per il risultato ma nel partito esplode la 'questione moderata' Guerini apre ai delusi centristi di Forza Italia e M5S. Giachetti attacca: ci ostiniamo a rivolgerci alla sinistra che oltre il Pd praticamente non esiste

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 28 maggio 2019

«Dobbiamo continuare a scommettere sulla costruzione di una nuova alleanza di centrosinistra. La lista unitaria del Pd, +Europa e Verdi, insieme, hanno il 28 per cento insieme. È la base, partiamo da qui. Siamo il pilastro dell’alternativa al governo Salvini». Nicola Zingaretti convoca i giornalisti a mezzogiorno al Nazareno e ripete l’analisi positiva sul voto delle europee già impostata nella notte di domenica. Mancano ancora i dati delle amministrative, arriveranno nel pomeriggio, lui li definirà «ottimi» (Nardella vince a Firenze, Decaro a Bari, Gori a Bergamo, ci sono anche vittorie o pole position per i ballottaggi a Pesaro, Lecce, Modena, Livorno, Reggio Emilia, Foggia). Ma il segretario intanto ha fretta di fornire ai media la sua lettura del risultato complessivo del suo Pd: c’è stato il sorpasso di M5s, il Pd è il secondo partito del paese e la seconda delegazione dei Socialisti e democratici. «Un segno di incoraggiamento», «In Europa l’attacco dei sovranisti è fallito. Ci sono le condizioni per una grande alleanza che guardi al futuro dell’Europa». Nuove larghe intese sono dietro l’angolo.

DALLA SERA PRIMA il segretario sa che le minoranze interne fanno un’analisi tutta diversa. E tutta incentrata sui voti assoluti: 6.086.879. Senza arrivare all’impietoso confronto con gli 11.203.231 del 2014, il famoso 40,8 renziano, bastano i 6.134.727 del 4 marzo 2018 per «vedere» almeno 120mila voti in meno, meno persino dei 8.644.187 del 2013, la famosa «non vittoria» di Bersani. Meno di sempre, in realtà, in voti assoluti. È il ragionamento che svolge Roberto Giachetti in un lungo post su facebook. Dal quartier generale di Zingaretti parte la contraerea: «33,9 milioni di voti alle politiche del 2018 (affluenza 73%). 27 milioni a queste europee (affluenza 56,2%). Quindi circa 7 milioni in meno di votanti», è la replica. Ergo «è un enorme errore raffrontare i voti delle due elezioni in termini di voto assoluto. I voti possono essere raffrontati correttamente solo a livello percentuale».

MA IL RAGIONAMENTO di Giachetti parte dai numeri per andare oltre. Ben oltre. «Sarebbe utile una seria riflessione su dove andiamo a cercare quel consenso. Ci ostiniamo a rivolgerci al bacino della sinistra che oltre il Pd praticamente non esiste o ci concentriamo su quello enorme dell’astensione dove si collocano molti delusi e moderati che cercano un’offerta politica davvero riformista?».

È LA «QUESTIONE MODERATA» che in campagna elettorale è stata sbandierata dai renziani, e negli ultimi giorni da Renzi stesso. E invece silenziata dai moderati della corrente Guerini-Lotti, Base Riformista. Oggi esplode, annunciata.

MA È ANCHE L’ANNUNCIO della famigerata scissione renziana? No. Per ora. Giachetti annuncia che la corrente Sempre avanti (quella dei renzianissimi) darà battaglia «dentro il partito». Toni più bassi ma stesso senso nell’analisi di Lorenzo Guerini: «C’è tutto il tema dell’elettorato moderato, che non può essere in maniera rassegnata consegnato alla destra, e c’è il tema dell’elettorato deluso dai 5 stelle, che però non si è riversato nel Pd». Un voto andato «in parte nel non voto, in parte in un voto ancora a Forza Italia. Noi quel voto non lo dobbiamo regalare». Per attirarlo serve un Pd che non guardi solo a sinistra: «Vogliamo dare al Pd un’impronta riformista e liberaldemocratica», il risultato delle europee dimostra che i voti del Pd «non sono sufficienti perché l’alternativa sia realmente in grado di riportarci al governo». Anche Guerini non allude neanche lontanamente a una scissione. E tuttavia segnala che la sua corrente si è «pesata»: ha eletto sei europarlamentari su 19 (Bonafè, De Castro, Picierno, Ferrandino e Chinnici). Poi c’è la liberal Tinagli e soprattutto Carlo Calenda, che ha sbancato con le preferenze: 276.413.

AL DI LÀ DELLO SCONTRO sui numeri, Zingaretti sa che il problema nel Pd esiste. E infatti in mattinata aveva anticipato il colpo: «Guardiamo al mondo civico nei territori, ai tanti attori moderati che non si ritrovano in una alleanza con la destra di Salvini». Ma come, senza mettere a repentaglio da subito il costituendo «nuovo centrosinistra»? Zingaretti cerca la quadratura del cerchio. Fidando su quella che fin qui è stata la sua carta migliore: essere eternamente sottovalutato. Da amici e nemici. Così, come sempre con estenuante lentezza e senza mosse eclatanti, proverà a evitare una scissione. Che del resto, al momento, né Renzi né Calenda hanno davvero voglia di fare.

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