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Zingaretti: no alleanze, ma 5S e Lega pari non sono

Zingaretti: no alleanze, ma 5S e Lega pari non sonoNicola Zingaretti, segretario Pd, ieri alla riunione della direzione del suo partito

Il segretario in direzione prova a ricompattare i suoi parlamentari Franceschini applaudito, la linea renziana dei popcorn si sfalda. Ma lentamente

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 27 luglio 2019

Nessuna alleanza con i 5 stelle, «non è nelle intenzioni né è mai stato un nostro obiettivo, non lavoriamo a una crisi parlamentare per fare un governo con loro». Al Nazareno, alla direzione del Pd, il segretario Nicola Zingaretti deve escludere più volte l’ipotesi che i renziani gli attribuiscono. La sua linea del Piave è che «Lega e M5S non sono un monolite», ma «questa affermazione non è l’anticipazione di accordi di governo», al massimo l’obiettivo è «disarticolare il blocco gialloverde per una nuova alleanza di centrosinistra civico da costruire nel Paese». Nella discussione ci sono posizioni molto più esplicite. Quella di Dario Franceschini («Costruire un arco di forze che non governano insieme ma pronte a difendere i valori umani e costituzionali che Salvini calpesta»), quella del sindaco di Milano Sala, ieri su Repubblica («Pronti a costruire alleanze a con chi verrà dopo Di Maio alla guida del M5S»). È il sentiero del dialogo aperto già da Orlando, Cuperlo, Provenzano, Bettini, e – per primo – dall’ala sinistra Massimiliano Smeriglio.

Nel gruppo dirigente dem questo sentiero si sta facendo strada, a giudicare dal lungo applauso che ha ricevuto ieri Franceschini al terzo piano del Nazareno. La linea renziana dei «popcorn» si sta sgretolando. Al ralenti. Come il passo di Zingaretti, che non vuole fornire alibi all’eterna aleggiante scissione: «I 5 stelle si stanno sfasciando ma attenti che, mentre discutiamo che si sfasciano, gli facciamo il regalo che ci stiamo sfasciando noi discutendo di loro», avverte. Del resto di tempo ormai ce n’è: il governo «disastroso» non cadrà. Il segretario ci aveva sperato. Forse qualcuno lo aveva persino convinto della crisi imminente. Comunque, per essere pronti all’evenienza, nasce un gabinetto di guerra: una delegazione ristretta formata da segretario, presidente, tesoriere, capigruppo e vicesegretari.

I renziani chiedono che il no ai 5 stelle diventi «mai», Carlo Calenda, che su questa stessa linea porta un ordine del giorno con 25mila firme – non ha chiaro che ormai è un dirigente di partito, nessuno glielo spiega – alla fine lo ritira e loda il segretario. La relazione viene approvata con la sola astensione della minoranza renziana. Il senatore di Scandicci tenta di prendersi la scena da facebook, ma ormai il giochetto è ripetitivo e non fa notizia. Zingaretti chiude lodando lo «spirito unitario del suo partito». In realtà la situazione resta quella di prima: lui forte negli organismi di partito e in minoranza nei gruppi parlamentari. Quanto allo spirito unitario, l’annullamento del congresso siciliano e la destituzione del segretario regionale Faraone è finita con le carte in tribunale. In autunno ci sarà la Costituente delle idee, nome aggiornato della cara vecchia e di solito infruttuosa «conferenza programmatica». Oggi inizia il week end caldo del No Tav in Val Susa: altro che dialogo con i 5 stelle, il Pd è al fianco della Lega. Per il treno e perché l’ordine regni in valle.

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