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Zingaretti insiste: governo a casa. E nel Pd serpeggia il panico sulle liste

Zingaretti insiste:  governo a casa. E nel Pd serpeggia il panico sulle listeIl segretario Pd Nicola Zingaretti

Anche il nuovo corso dem appeso alle sorti della legislatura Dal Nazareno minimizzano: «Scegliere i candidati in fretta? Basta usare il metodo Renzi. Ma non lo faremo, noi siamo gandhiani»

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 5 giugno 2019

«Un Paese può essere governato bene o male, ma non può non essere governato. Perché Conte non è andato in parlamento?», «Se la maggioranza avesse un briciolo di dignità dovrebbe venire in parlamento a dire se hanno un’idea per uscire da questa sceneggiata». Nicola Zingaretti inizia la giornata in tv, su La7, chiedendo le dimissioni del governo e poi parte per il suo ennesimo tour de force nelle città che domenica del ballottaggio. Ieri era in Lombardia, oggi sarà in Piemonte, venerdì in Emilia Romagna. Il segretario Pd batte palmo a palmo i comuni in bilico. Prova soprattutto di convincere gli elettori a tornare nei seggi, sa che l’astensionismo sarà determinante: «Il messaggio che voglio trasmettervi è che è tornato il momento di combattere».

DAL SECONDO TURNO delle comunali il Pd aspetta buone notizie. Per il resto al Nazareno l’aria è sospesa in attesa dell’ultimo atto della «sceneggiata» della maggioranza. Zingaretti si dichiara preparato al voto: «Il vero sblocca Cantieri è mandare a casa questo governo», «Il Pd è pronto alle elezioni, un altro sondaggio ci da in crescita».

MA SA ANCHE, e bene, che nel Pd il voto anticipato non sarebbe un pranzo di gala. La direzione per discutere della «rivoluzione» del partito che il segretario ha delineato lo scorso 30 maggio non è ancora convocata. Questa volta, assicurano, la data non sarà comunicata in fretta, come quella precedente che ha sollevato molti malumori. Qualche giorno in più del resto potrebbe essere determinante per capire le evoluzioni dello scenario politico. E se fosse una direzione per iniziare a parlare di liste?

IN QUESTE ORE AL NAZARENO le quotazioni del voto anticipato hanno un andamento altalenante. Ieri sono scese, in corrispondenza di qualche spiraglio di accordo della maggioranza. Ma le minoranze temono che la situazione precipiti trascinando il partito nella composizione delle liste con tempi stretti. Sull’argomento dall’area di Zingaretti arrivano ironie ruvide: «Per le liste il fattore tempo potrebbe anche contare poco. Basterebbe usare il metodo Renzi». L’allusione è alla notte del 27 gennaio 2018 in cui l’ex segretario depennò di suo pugno molti candidati scelti dalla minoranza. Finì con le correnti non renziane asfaltate e con gli attuali gruppi parlamentari. In cui oggi il nuovo segretario fatica a sfondare. Forse il «ma noi siamo gandhiani» che viene subito aggiunto alla battuta minacciosa è una definizione eccessiva. È vero che lo stile di Zingaretti è un altro.

IL FATTORE TEMPO avrebbe però, e senza dubbi, un impatto pesante sull’aggregazione di centro che ormai sembra prossima alla nascita. Calenda l’ha di fatto anticipata la scorsa settimana in un’intervista a Repubblica svelando l’entente cordiale con Zingaretti («Mi muovo solo se lo decidiamo insieme»). Poi ha smentito. Ma è chiaro che la creatura politica è in gestazione. E che se avrà il tempo di nascere non sarà un’esclusiva renziana.

NON È UN CASO se ieri il coordinatore dei comitati dell’ex segretario, Ettore Rosato, ha battuto un colpo, annunciando la prima iniziativa nazionale di Ritorno al futuro. «I dettagli organizzativi ancora non ci sono ma stiamo preparando un grande evento, per giugno sulle fake news». La rete conterebbe 900 circoli («ma cresciamo») per lo più frequentati da non iscritti al Pd, «luoghi dove fare e discutere di politica e di temi in modo concreto, fuori dalle liturgie di partito».

MA RENZI DEVE FARE I CONTI con il fatto che l’area centrista è affollata di pretendenti. Dopo Calenda, ieri ha alzato la mano anche il sempreverde Pier Ferdinando Casini, che già si offre come alleato del Pd, da cui del resto è stato eletto senatore alle ultime politiche: «Il nuovo partito centro vale più del 10 per cento», ha detto al Messaggero. Gli interlocutori sono Calenda e Forza Italia «se non vuol morire salviniana». E Renzi, naturalmente. Che per l’ex portavoce di Forlani è «uno di quelli in grado di parlare ai moderati». Uno di quelli, non l’unico.

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