Zingaretti e Salvini, sul filo toscano ballano due leader
Al voto Solo con la vittoria nella regione rossa e un buon voto di lista il segretario Pd sarebbe saldo. Il leghista si gioca tutto con Ceccardi. Ma comunque vada a finire nelle urne, il governo Conte reggerà all’urto, almeno nei tempi brevi
Al voto Solo con la vittoria nella regione rossa e un buon voto di lista il segretario Pd sarebbe saldo. Il leghista si gioca tutto con Ceccardi. Ma comunque vada a finire nelle urne, il governo Conte reggerà all’urto, almeno nei tempi brevi
Comunque vada a finire nelle urne, il governo reggerà all’urto: questo, almeno nei tempi brevi, è certo. Però è altrettanto certo che in ogni caso la scossa sarà di prima grandezza e tutti gli equilibri ne usciranno modificati. La mano che si gioca in Toscana è sicuramente la più importante. Non l’unica. Se il Pd perderà la guida della regione rossa per antonomasia Nicola Zingaretti diventerà seduta stante un ex segretario in pectore. Ma se anche dovesse conservare per un pelo la Toscana, perdendo la Puglia e con un voto di lista al di sotto del 20%, finirebbe molto di più che semplicemente azzoppato. Solo la combinazione tra tenuta in Toscana e voto di lista soddisfacente, pur senza la Puglia, metterebbe il segretario quasi al sicuro dalle manovre che nel suo partito proliferano.
QUELLA DI ZINGARETTI, però, non è affatto una malinconica partita a perdere, con il disastro totale o la semplice mazzata come sole alternative. Nella situazione che si è creata e con il panico cresciuto nelle ultime settimane, conservare le due regioni in bilico sarebbe una vittoria nettissima. Il segretario dem si trasformerebbe in un attimo da bersaglio in intoccabile. Se poi si aggiungessero al carniere le Marche, l’alloro imperiale sarebbe garantito. Situazione anomala e inedita: una tornata regionale importante ma limitata a poche regioni che si potrebbe concludere con un segretario del Pd sia alle stelle che, al contrario, nella polvere.
LA SITUAZIONE di Matteo Salvini non è molto diversa. Dal Papeete in poi il leader che poco più di un anno fa pareva invincibile ha inanellato un errore dietro l’altro e accumulato una sconfitta via l’altra. Oggi si ritrova assediato da guai di ogni tipo, con quelli giudiziari di diversa natura in testa alla dolente lista, minacciato da Giorgia Meloni nella coalizione e dai “governisti del nord” come Luca Zaia e Giancarlo Giorgetti nel partito. Anche per lui il futuro è appeso a un pugno di voti. Lo sfondamento in Toscana lo riporterebbe ai fasti del pre Papeete. In compenso, senza la Toscana, neppure l’eventuale conquista della Puglia basterebbe a rinsaldarne le vacillanti posizioni. Il verdetto spetterebbe al voto di lista. Se questo certificasse il fallimento della strategia basata sull’allargamento della Lega al sud e, in Veneto, mostrasse uno scarto marcato con i consensi personali del governatore uscente e rientrante, la stessa leadership di Salvini nel suo partito verrebbe presto revocata in dubbio. Eventualità che solo un anno fa sarebbe sembrata pura fantapolitica.
I 5 STELLE SEMBRANO del tutto al coperto. Le dichiarazioni sulla poca importanza delle regionali per il Movimento sono già pronte: basterà inviare di nuovo alle agenzie i comunicati sullo stesso tono diramati nelle precedenti occasioni. Solo che stavolta non è vero. Luigi Di Maio ha sfruttato il rinvio degli Stati generali per recuperare il controllo sul partito. Ora medita di sfruttare l’onda referendaria per chiudere i conti con l’amico/rivale Alessandro Di Battista da un lato e per moltiplicare il peso contrattuale dei pentastellati nella maggioranza dall’altro. Se le regionali riveleranno che persino in Toscana il Pd è fuori gioco senza l’accordo con i 5S quella forza contrattuale ne uscirà moltiplicata. Nessuno nel Movimento 5 Stelle ha la testa politica di un Bettino Craxi, ma basterà il quadro dei rapporti di forza per fare dei pentastellati i potenziali eredi dell’indimenticato Ghino di Tacco. Anche per Di Maio i rischi però non mancano. Una sconfitta nel referendum sarebbe la sua fine. Una vittoria di misura e dovuta solo all’accorpamento tra regionali e referendum gli spunterebbe le unghie. Se poi il Pd ce la facesse nonostante la competizione con gli attuali soci di maggioranza il sogno di poter dettare le condizioni per una futura alleanza svanirebbe già da lunedì notte.
IN OGNI CASO questa prova elettorale che cade a metà legislatura, dopo un cambio di maggioranza vertiginoso e nel pieno della crisi più grave nella storia della Repubblica, sarà uno spartiacque. Da martedì tutti i giochi politici, sia all’interno dei partiti che delle alleanze già conclamate o potenziali, saranno fatti avendo come orizzonte le prossime elezioni politiche, che siano tra due anni o mezzo o prima.
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