Cultura

Zika, contagio tropicale

Zika, contagio tropicale

Scienza L’impatto limitato sulla salute umana del virus, se si eccettua il sospetto di malformazioni in gravidanza, non è un segno della sua debolezza: tanto più si integra bene con l’organismo ospite senza «disturbarlo», tanto maggiore sarà la possibilità di sfruttarlo per riprodursi e diffondersi nell’ambiente

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 9 febbraio 2016

Il primo febbraio, in un meeting convocato d’urgenza, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che il virus Zika rappresenta una «emergenza sanitaria di interesse internazionale». Nel linguaggio dell’Organizzazione, significa che gli aiuti e la ricerca condotti contro il virus potranno godere di procedure accelerate e finanziamenti straordinari. I Paesi colpiti sono attualmente trentanove. Per capire il livello di rischio, basti pensare che l’ultimo allarme di questo livello riguardava l’epidemia di Ebola. Sebbene rispetto a Ebola il virus Zika appaia assai meno pericoloso, c’è il sospetto che esso produca una grave malformazione nel feto se contratto in gravidanza. Contro una malattia spesso asintomatica ma con gravi conseguenze differite nel tempo, sia la cura che la prevenzione sono maledettamente più complicate.

Zika non è un’assoluta novità. I virologi lo conoscono sin dagli anni Cinquanta, quando vennero identificati i primi casi nell’uomo in Uganda e Tanzania. Il principale vettore di trasmissione sono le zanzare della specie Aedes, la stessa che trasporta altri virus «cugini» di Zika, come la febbre Dengue e il virus Chikungunya. La malattia causata da Zika è molto meno grave: nell’80% dei casi, l’infezione non produce sintomi, secondo le statistiche fornite dal Center for Disease Control statunitense. Negli altri casi, febbre, congiuntivite e esantemi spariscono nel giro di una settimana. L’impatto limitato sulla salute umana del virus non è un segno della sua debolezza, ma dell’estrema raffinatezza di queste affascinanti forme di vita. Tanto più il virus si integra bene con l’organismo ospite senza «disturbarlo», infatti, tanto maggiore sarà la possibilità di sfruttarlo per riprodursi e diffondersi nell’ambiente.
Come le altre malattie trasmesse dalle zanzare, Zika finora ha colpito soprattutto i paesi tropicali. Solo negli ultimi dieci anni, però, ha provocato epidemie locali, soprattutto negli arcipelaghi del sud-est asiatico. L’epidemia attuale è iniziata in Brasile. Secondo i ricercatori, la Coppa del Mondo di calcio, che nell’estate del 2014 attirò sportivi e appassionati da tutto il mondo, portò il virus da queste parti.

In Brasile, Zika sembra essersi trovato benissimo: l’abbondanza di zanzare e un’enorme popolazione priva di anticorpi hanno rapidamente esteso il contagio a tutto il paese. Da lì, si è spinto a nord e attualmente è stato rilevato in tutti i paesi compresi tra Brasile e Messico. Le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità prevedono quattro milioni di persone infette entro la fine del 2016. Per complicare ulterirmente il quadro, le Olimpiadi della prossima estate si svolgeranno proprio in Brasile.
Allarme e verità
L’allarme però è partito con ritardo. Ciò che ha preoccupato maggiormente le autorità sanitarie non sono state le condizioni dei malati – niente affatto gravi, come visto – ma le statistiche sui bambini nati nel periodo dell’epidemia. Secondo le cifre più aggiornate del ministero della salute, circa 5000 neonati mostrano sintomi di sospetta microcefalia, cioè un ridotto sviluppo della testa che provoca danni cerebrali. Il numero è notevole, perché significa che, in corrispondenza dell’epidemia di Zika, i casi sarebbero aumentati di ben venti volte.
Per la verità, molti analisti ritengono che questa cifra sia esagerata, perché conterrebbe molti «falsi positivi», casi che una volta sottoposti a esami più attenti si rivelano sani. I risultati dei test successivi dimostrano che solo un terzo di questi bambini sono realmente microcefalici, ma la cifra rimane sei o sette volte superiore alla media degli anni precedenti la diffusione di Zika. Un aumento così forte non può essere casuale.

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Vie di trasmissione
Tuttavia, sul virus Zika si sa troppo poco e il meccanismo che colleghi l’infezione alla malformazione non è ancora noto. Le epidemie precedenti avevano colpito popolazioni dai numeri ridotti per permettere analisi statistiche affidabili: il Brasile, con oltre duecento milioni di abitanti e metropoli densamente popolate, rappresenta uno scenario del tutto nuovo in cui il virus può manifestare un comportamento diverso, e più grave, di quanto osservato finora.
La faccenda è resa ancor più complicata dalle modalità di trasmissione del virus. Finora, si riteneva che Zika potesse passare da paziente a paziente soltanto attraverso le zanzare, che pungendo un paziente infetto possono portare il virus in un individuo sano. Questo permetteva di concentrare l’intervento nelle regioni tropicali in cui le zanzare sono presenti durante tutto l’anno. Ma proprio nelle ultime settimane sono stati registrati nuovi casi di trasmissione per via sessuale, di cui finora era noto un solo altro esempio risalente al 2008. Il virus può dunque passare da persona a persona anche senza «utilizzare» la zanzara come veicolo.
Questo estende la lista dei paesi da tenere sotto controllo fino a includere gli Stati Uniti, in cui finora erano ritenute a rischio solo le persone che avevano viaggiato in America centrale, Africa e sud-est asiatico. E estende anche gli strumenti necessari alla prevenzione dell’infezione che, secondo le ultime linee guida del citato Center for Disease Control, comprendono anche l’uso del profilattico nei rapporti sessuali.

I metodi di controllo delle nascite sono il vero nodo su cui si concentrano gli sforzi internazionali. Contro il virus Zika non esistono cure né vaccini: anche se i primi test su farmaci sperimentali inizieranno nel 2016, un vero rimedio non sarà disponibile nei prossimi anni. I governi dei Paesi più colpiti, dunque, stanno sollecitando le coppie a rimandare le gravidanze tout court. L’invito rischia di essere vanificato dall’invadenza, nelle coscienze e nelle istituzioni, della chiesa cattolica locale, da sempre opposta alle tecniche contraccettive e l’interruzione volontaria della gravidanza. In gran parte dell’America latina, infatti, l’aborto è considerato un crimine. Il primato in questo senso spetta a El Salvador, dove esso è punito con pene che raggiungono i trent’anni di reclusione, al pari di un omicidio. Anche in altri Paesi della regione, come nello stesso Brasile, l’interruzione volontaria della gravidanza è permessa solo in caso di rischi per la salute di madre e nascituro. Il virus Zika rientrerebbe in questa casistica. In molte province rurali, però, anche un’ecografia necessaria a certificare tale rischio è un lusso riservato a poche coppie, per non parlare della scarsa disponibilità di medici in grado di praticare un’interruzione di gravidanza in sicurezza. Il risultato è che oltre la metà delle gravidanze negli stati dell’America centrale e meridionale è indesiderata, con tassi di aborti clandestini tra i più alti al mondo.

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Ddt e ingegneria genetica
Se la pianificazione delle gravidanze è così difficile, le uniche strategie di prevenzione riguardano le zanzare. Quelle più tradizionali servono a evitare le punture, pratica già in atto contro altri rischi sanitari della regione (malaria in testa) con l’utilizzo di repellenti, insetticidi e zanzariere. Contro Zika, però, si stanno sperimentando anche metodi di eliminazione delle zanzare all’avanguardia, basati addirittura sull’ingegneria genetica. Per eliminare le zanzare senza usare Ddt e altri composti chimici dannosi per l’ambiente, la società inglese Oxitec ha sviluppato una varietà geneticamente modificata e sterilizzata della specie Aedes egypti (la zanzara responsabile della trasmissione della dengue, oltre che di Zika).

L’obiettivo è diffonderla nell’ambiente perché si accoppi con le zanzare femmina e ne impedisca la riproduzione. La tecnica è già stata sperimentata con successo in aree urbane molto limitate: in un quartiere della città brasiliana di Piracicaba, la Oxitec vanta di aver eliminato l’82% delle larve. Altre strategie mirano ad ottenere lo stesso risultato attraverso i batteri. Anche la nuovissima tecnica di ingegneria genetica Crispr verrà presto sperimentata al fine di sviluppare zanzare geneticamente modificate sterili.
In questo caso, le ricerche riguardano per lo più le zanzare Anopheles, che trasmettono la malaria. In caso di successo, i test saranno estesi anche alle Aedes che ospitano il virus Zika. Ma si tratta di ricerche o sperimentazioni ancora molto pionieristiche. Con le zanzare dovremo convivere ancora a lungo.

 

SCHEDA

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Come riportato dal quotidiano inglese «The Guardian», la legislazione di molti paesi dell’America centrale e meridionale punisce severamente l’interruzione volontaria di gravidanza. In alcuni Paesi, come Cile, El Salvador, Honduras, Haiti, Repubblica Dominicana, Nicaragua e Suriname, essa non è permessa nemmeno quando la gravidanza rappresenta un pericolo di vita per la donna. Solo a Cuba e in Uruguay, Martinica, Guadalupa e Guiana Francese, invece, l’interruzione di gravidanza è un diritto della donna. Negli altri Paesi del continente, molti dei quali sono oggi colpiti dall’epidemia di Zika, la legislazione è molto restrittiva e permette l’aborto solo in casi di pericolo di vita per donna e feto, o di gravidanza conseguente a violenza sessuale.
L’Organizzazione Panamericana per la Sanità (Ops) ha chiesto ai Paesi toccati dal virus Zika di ampliare l’accesso ai metodi contraccettivi, criticando la richiesta dei governi di evitare le gravidanze. «La decisione finale spetta solo alla donna», ha dichiarato la Suzan Serruja, direttrice del Centro latinoamericano di perinatologia e salute della donna. Le ha fatto eco Efe Monica Roa, vicepresidente dell’organizzazione internazionale Women’s Link Worldwide. «La richiesta dei governi è ingenua e insufficiente. Questa crisi mette in evidenza la mancanza di politiche nazionali nell’educazione sessuale e nell’accesso alla contraccezione e all’aborto», ha spiegato al quotidiano messicano «Debate». La situazione più grave per le donne è quella salvadoregna, dove tra il 2000 il 2011 49 donne sono finite in carcere per aborto (17 delle quali per aborto spontaneo) con condanne fino a 40 anni di reclusione. «Ma in prigione finiscono solo le donne più povere», ha denunciato al quotidiano salvadoregno El Faro Juliana Nieto, vicepresidente di Amnesty International per le Americhe. «Le altre si rivolgono a medici privati o vanno all’estero».

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