Mentre il suo governo progetta di spaccare il paese con l’autonomia differenziata, ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sostenuto che il piano strategico per la «Zona economica speciale unica del Mezzogiorno» (la «Zes unica») sarà «un mattone in più» per costruire il vagheggiato «modello di cooperazione e sviluppo con l’Africa: il piano Mattei».

Il caso è curioso: da un lato, si pensa di dividere l’Italia in venti staterelli, una «secessione dei ricchi» capitanata dalla macroregione leghista del Lombardo-Veneto; dall’altro lato, il Mezzogiorno ridotto a uno spezzatino dovrebbe fare da traino «a livello geopolitico all’Africa» grazie al mastodontico progetto con i piedi di argilla della «Zes unica». Il piano durerà tre anni, il tempo dei miracoli. Quelli promessi da una politica che divide, strumentalmente, l’industria dalle istituzioni, l’economia dalla politica. «Una schizofrenia» hanno detto ieri da Alleanza Verdi Sinistra. Non a torto.

La nuova Zes sostituisce le precedenti otto Zes limitate alle aree portuali e retroportuali. Le otto Regioni meridionali coinvolte (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) godranno di semplificazioni amministrative, di benefici fiscali e di un quadro coordinato di interventi e investimenti. Nove le filiere da rafforzare (agroindustria, turismo, elettronica, automotive, «Made in Italy della moda del design», chimica e farmaceutica, navale e cantieristica, aerospazio, ferroviario) e tre le tecnologie da promuovere (digitali, cleantech, biotech).

La presentazione del piano è giunta nel momento forse meno propizio: la polemica tra Raffaele Fitto – il ministro addetto anche alla «Zes» – e l’Agenzia delle Entrate che ha comunicato la percentuale effettivamente fruibile del credito di imposta per le imprese che investono nel progetto: il 17 per cento non fino al 70% (Si veda Il Manifesto del 24 luglio). È un problema che rischia di inceppare il meccanismo. Il credito di imposta è una delle gambe della Zes. Per Fitto non è così e ier ha evidenziato l’alto numero delle richieste (16 mila). «È la prova di un successo, non del fallimento» ha detto contro le opposizioni che lo attaccano da giorni.

L’oscurità della vicenda non aiuta per ora a chiarire il mistero del credito di imposta. Qualche elemento utile alla comprensione lo ha fornito ieri l’ex ministra per il Sud Mara Carfagna (Azione): «A maggio – ha detto – il governo ha indicato le agevolazioni per le imprese dal 15 al 70 per cento. Ora l’Agenzia delle Entrate lo ha fissato al 17. Per Fitto è sbagliato, ma non ha indicato altre percentuali. Abbiamo 9,4 miliardi di crediti richiesti e non sappiamo quanta parte sarà coperta dalle agevolazioni. Migliaia di imprese restano in attesa di risposte sugli investimenti programmati. Avevamo sollevato subbi sulla faraonica Zes. I dubbi sono confermati».