In giro per la Sicilia a documentare le leggende dell’isola, dalla segale cornuta a Shakespeare nativo messinese. È questo il pretesto dell’on the road che vede l’esordio nella regia di Zavvo Nicolosi, il regista catanese di videoclip che ha firmato alcuni capolavori, prima per Colapesce e poi per Colapesce e Dimartino, tra cui i promo dei due brani sanremesi: Musica leggerissima nel 2021 e Splash, appena uscito. Era, dunque, inevitabile che questo lungometraggio dal suadente e metaforico titolo, La primavera della mia vita, avesse come protagonisti proprio i due cantautori siculi. Il film – prodotto da Wildside, Sugarplay e Vision – uscirà nelle sale da lunedì 20 a mercoledì 22 febbraio, prima di essere visibile su Sky e Prime.

A Nicolosi chiediamo intanto come è nata l’idea di passare dal music video al film a soggetto, un passo quasi obbligato che hanno compiuto tanti altri suoi colleghi: «Fare cinema è sempre stato il mio sogno, ma, avendo fatto studi di medicina» – ci risponde il cineasta, che è anche psichiatra, «l’unico modo di arrivare al film era arrivarci lateralmente, cioè attraverso il clip, che ho utilizzato come palestra. Anche Antonio e Lorenzo volevano fare un film, ma non era facile per loro prima del 2021. Poi, dopo il successo di Musica leggerissima, si sono aperte diverse porte, soprattutto perché nel corso di un’intervista avevano dichiarato di voler fare un road movie, ma non sapevano bene di che tipo. Così, quando si è presentata l’occasione, in pochi giorni ho scritto il soggetto, basandomi su un libro di leggende siciliane che mi aveva regalato proprio Lorenzo. L’idea del mandorlo – al centro del film (e il titolo originario sarebbe appunto dovuto essere Mandorlo amaro) – mi è venuta, ad esempio, pensando alla mitologia greca».

Lo stile de La primavera della mia vita è piuttosto in continuità con il surrealismo degli altri lavori, pieni di bizzarri personaggi ma, soprattutto, strutturati su fulminanti inquadrature pregne di allusioni, simboli e citazioni. La lunga durata – tuttavia – diluisce quella capacità di sintesi iconografica tipica del linguaggio videomusicale, che non si sostiene su una narrazione vera e propria ma solo su spunti diegetici suggeriti dal testo della canzone. La primavera della mia vita, girato in soli 30 giorni (un record per un film del genere, anche piuttosto complesso come location), presenta una narrazione sospesa, metafisica, cosa piuttosto atipica nel cinema nostrano. «Adoro un certo tipo di film», ci dice Zavvo, «come quelli di Kaurismaki, Jarmusch o Wenders, penso a Lisbon Story, Fino alla fine del mondo o Lo stato delle cose e, dunque, è a loro che mi sono ispirato col dovuto rispetto. Nel cinema italiano si parla e si gesticola tanto, mentre i personaggi del mio film sono molto statici: questo perché subiscono le cose intorno a loro e rispondono con un atteggiamento di imperturbabilità, un po’ come Belushi e Aykroyd in The Blues Brothers».

Naturalmente nel film si ride molto, ma non solo per le battute, bensì per le associazioni visive, le situazioni totalmente stranianti che Nicolosi dissemina per tutto il viaggio iniziatico dei due. Gran parte della comicità nasce proprio dalla non-recitazione e dalle incredibili facce di Antonio Dimartino e Lorenzo Urciuolo (al secolo Colapesce) affiatati sul set esattamente come su palco dei loro concerti: «Questo perché» – spiega sempre Nicolosi – «non interpretano dei personaggi ma solo quello che sono nella realtà, sebbene una versione di loro più esagerata». Io che li conosco so che c’è una verità in quello che fanno, nel modo di darsi le battute. Anche per questa ragione non abbiamo fatto tanti ciak, anche se di improvvisato c’è solo un dieci per cento, mentre il resto è molto scritto». Uno dei punti di forza del film è anche la scelta dei luoghi attraversati a bordo di un’automobile-catorcio chiamata allegoricamente Lazzaro, per il suo resuscitare sempre. Scorci che ci fanno scoprire una Sicilia per niente nota e, a tratti, straordinaria. Ciò ha comportato un accuratissimo lavoro di ricerche, da Siracusa a Catania a Palermo, e di riprese (spesso due location al giorno). «L’immagine della Sicilia oscilla tra due estremi: la cartolina e il degrado. Noi invece volevamo una Sicilia che potesse sembrare l’Arizona o il Sudamerica, insomma un grandissimo non-luogo, riconoscibile e no. Questo per restituire la dimensione onirica e allucinata del viaggio. Al direttore della fotografia Carlo Rinaldi ho chiesto che il digitale sembrasse pellicola cinematografica; infatti, se si nota bene, alcune sequenze hanno l’aria un po’ vintage, da film fine anni ’70 e inizio ’80. Io non ho paura di mescolare mondi lontanissimi tra loro, da The Wicker Man all’episodio Isole del morettiano Caro diario, ma dentro c’è anche Il sacrificio del cervo sacro di Lantimos, altro regista che adoro».

Un’altra cosa che colpisce del film è che Nicolosi non ha voluto esagerare con i momenti musicali, per non derogare dall’impostazione drammaturgica, mentre invece avrebbe tranquillamente potuto – come succede spesso quando i film sono interpretati da musicisti – sfruttare la situazione, trasformando La primavera della mia vita in un musical, infarcito di hit. Durante il film ascoltiamo solo Musica leggerissima suonata dal pianista sul traghetto e due pezzetti strumentali (dunque poco riconoscibili) di Splash, mentre la colonna sonora (che verrà pubblicata integralmente) è comunque del tutto originale, incluso l’unico brano che ascoltiamo per intero, Il cuore è un malfattore. Questo per sottolineare che al regista e ai cantautori non piace vincere facile. Il mondo della musica, tuttavia, è molto presente, se pensiamo che agli attori professionisti come Stefania Rocca (nei panni dell’agente di Colapesce) e Corrado Fortuna, si affiancano i camei di Madame, Brunori, Roberto Vecchioni e Erlend Øye (dei King of Convenience), che vive in realtà a Siracusa. Un’altra domanda inevitabile da porre a un esordiente nel lungometraggio è se ha incontrato difficoltà a gestire un set del genere, ma Zavvo risponde senza esitazione: «A parte il caldo soffocante e il covid è filato tutto liscio. Del resto ci ha molto aiutato il fatto che ci conoscessimo da anni e non c’erano imbarazzi da parte di nessuno. Inoltre si è creata subito un’atmosfera di goliardia e divertimento. In questo film c’è una grossa cura per le scenografie e i costumi, reparti di solito considerati secondari in Italia, ma io sono molto meticoloso sui dettagli e la troupe si è spesa più del dovuto».

Come definire in conclusione questo strano oggetto audiovisivo che è La primavera della mia vita? Non è affatto un music video espanso, né tanto meno un film musicale, non è una commedia ma neppure un film demenziale. E non è neppure un film generazionale o giovanilistico: il pubblico del duo non è composto da adolescenti (del resto è da Premio della critica a Sanremo). Inoltre è un film che, seppure con forte ironia e autoironia, ha risvolti finanche psicanalitici (la relazione tra Colapesce e il padre) e un finale poco prevedibile, poetico, con un messaggio ecologico e un significato di rinascita: «Non vorrei spoilerare troppo, ma devo dire che sotto la scorza colorata del film in realtà c’è una nota malinconica. Del resto anche nei miei videoclip la superficie pop nasconde qualcosa di ben più profondo che trasmette un’emozione al pubblico. Diciamo che questo è un film malinconico travestito da commedia. Quasi una sorta di inganno».