«14 gennaio 1941. Oggi ho deciso di cominciare questo diario. È una prova di più che io sono come gli altri. Non c’è un momento della mia giornata che mi dimostri il contrario: io sono come gli altri. Mi accorgo che gli altri hanno le mie stesse idee, si comportano come me». Comincia così il primo volume dei «Diari 1941-1958», a cura di Valentina Fortichiari e Gualtiero De Santi, che l’autore scrive per oltre un quarantennio su taccuini, quadernetti, enormi quadernoni, agende annuali. Se la sua attività letteraria è sempre stata ricondotta a una sorta di perpetuo autobiografismo, un vero e proprio diario non l’ha mai fatto ed è per questo che sente il bisogno di leggere i diari e le memorie di scrittori e artisti famosi: il «Journal» di Jules Renard, l’autobiografia di Giorgio De Chirico, la Vita di Benvenuto Cellini, i diari di Katherine Mansfield, di Eugène Delacroix, di Julien Green, di Samuel Pepys.

Nelle note dei primi anni Quaranta, disseminate nelle varie riviste, affiorano già gli aspetti più propositivi della riflessione zavattiniana, in cui è esplicito il profondo mutamento destinato a esplodere nella rivoluzione neorealista, che sorgerà a ridosso della guerra. Il terremoto in atto gli sembra passare attraverso la riappropriazione del fantastico nel quotidiano, dell’originario al di là del romanzesco, della durata contro il montaggio.

Auspica «il film dell’uomo che dorme, il film dell’uomo che litiga», si augura di «poter tornare all’uomo come essere ’tutto spettacolo’», ripropone la «contemplazione del nostro simile nelle sue azioni elementari». Sono espressioni che ritornano a più riprese con variazioni e sviluppi, sfumature diverse e correzioni di tiro, in un gran numero di interventi, dove si viene precisando l’immagine di un cinema in grado di farsi «raccontatore di noi stessi». Ma di tutto questo non si parla nel «Diario», dove prevale invece il senso di insoddisfazione per i risultati diseguali, più deludenti che esaltanti, della ventina di film di cui nello stesso periodo scrive il soggetto e collabora alla sceneggiatura.

Soltanto il rapporto privilegiato con Vittorio De Sica che, fra tensioni irrisolte e conflitti incomponibili, ha sempre vissuto come coautore a pieno titolo, premia la sua intensa operosità di scrittore di cinema con «Sciuscià», «Ladri di biciclette», «Miracolo a Milano», «Umberto D.», i grandi film della stagione neorealista, che Zavattini ha seguito nelle varie fasi fino al montaggio.

Coacervo di temi, personaggi, azioni, progetti, ricordi, cronaca personale e storia italiana, il «Diario» si anima di un ritmo nuovo e incandescente quando prendono il via i progetti di «Italia domanda», un settimanale fatto tutto di domande dei lettori, della Lotteria dell’arte che diventa poi la Lotteria della letteratura, con l’obiettivo che nelle case di ogni italiano ci siano i venti libri fondamentali. Zavattini incontra una dietro l’altra tutte le personalità della cultura, scrittori e artisti in una inesausta attività di coinvolgimento di cui si parla per parecchi mesi con appuntamenti quotidiani e complessi tentativi di allargare il gruppo dei promotori.

Nel frattempo si sono venuti moltiplicando i soggetti personali a cui tiene di più, che spesso resteranno irrealizzati, da «Tu, Maggiorani», la storia di Lamberto Maggiorani l’operaio della Breda scelto come protagonista di Ladri di biciclette, a Vincent Van Gogh, appassionata rievocazione del rapporto tra Van e il fratello Théo, per il quale va in Olanda, Belgio, Francia, ripercorrendo l’itinerario del grande artista che negli anni Trenta gli ha fatto scoprire la pittura.

Ma il progetto più significativo e travagliato è quello di «Italia mia», a cui comincia a pensare mentre sta lavorando alla sceneggiatura di Umberto D.. È il mitico film senza copione, che si crea di volta in volta per mezzo dei nostri orecchi e dei nostri occhi a contatto diretto con la realtà, il film che nasce sul posto, andando in giro per l’Italia. Se ne appassiona subito De Sica, che lo vuole fare ad ogni costo, e suscita poi l’entusiasmo di Roberto Rossellini. Nessun tentativo va però in porto. Nonostante il ritmo vorticoso degli incontri e dei viaggi, le pagine più belle del volume sono quelle dedicate al rapporto con la madre, con la moglie Olga, con i figli Milli, Arturo, Marco, ai i ricordi di Luzzara e del Po, alle passeggiate per il quartiere romano in cui abita: «Via Merici alla sera dopo cena con la luna in fondo sempre grossa» (pp. 636, euro 23,00)