Zamboni e i ritorni del selvatico
Viride «Bestiario selvatico», da La Nave di Teseo, illustrazioni dello zoologo Stefano Schiaparelli
Viride «Bestiario selvatico», da La Nave di Teseo, illustrazioni dello zoologo Stefano Schiaparelli
Nella nuova, aumentata attenzione che nel complessivo affollarsi di relazioni con il non-umano riserviamo al paesaggio animale, assieme all’avvio di una ricognizione della fauna inurbata, spesso invisibile, nelle pieghe di artificiali habitat cittadini che con loro condividiamo, si affianca ora un modo diverso di guardare al selvatico.
Quello, magari, degli animali che, provenendo da universi distanti, finiscono per instaurarsi nel nostro paesaggio domestico. Transfughi involontari al seguito di merci, commerci e turismi, oppure in fuga dall’alterazione delle condizioni dei loro ambiti di provenienza, o che, viceversa, finalmente ritornano in paesaggi un tempo loro, poi però a lungo disertati. Ritenuti estinti, perché divenuti inutili o dannosi.
Perché spesso è comunque l’essere umano ad assegnare patenti del genere, a decidere chi è benvenuto e chi no. E proprio a partire dalla critica di questa presunzione antropocentrica di tutto poter regolare e controllare muove la penna di Massimo Zamboni, chitarrista e cantautore, tra i padri del punk rock italiano, compositore per i CCCP e poi i CSI, fattosi da tempo scrittore e ora naturalista curioso. Che nel suo Bestiario selvatico Appunti sui ritorni e sugli intrusi infila una serie di brevi ritratti animali, che sono anche storie dei luoghi prescelti e che ora li ospitano e delle relazioni con gli esseri umani che li incrociano e con cui variamente condividono convivenze e attenzioni, frizioni e incantamenti (La Nave di Teseo, pp. 180, € 18,00, illustrazioni dello zoologo Stefano Schiaparelli).
Si tratta di incontri tutti sul limitare, di paesi tra foreste e confini, dalla pianura padana alle risaie piemontesi, tra prime periferie, spazi residui di una natura sempre più antropizzata, borghi appenninici, aree confinanti con rettifili di strade, rive di fiumi, acque fangose di stagni di collina.
Interlocuzioni dove, consapevoli almeno a tratti delle strette relazioni di interdipendenza che, pur nell’alterità, intratteniamo con questi animali intrusi, per evocarne le fisionomie, come sottolinea Zamboni, non sappiamo far nulla di meglio che umanizzarne i tratti. Assomigliandoli a noi, non soltanto perché non sappiamo rinunciare a porci come misura di tutto, ma perché, così facendo, tendiamo a diminuirne alterità e bellezza che inconfessabilmente avvertiamo superiori alla nostra.
Così, l’airone di cui si racconta il ritorno a popolare luoghi dove da tempo era scomparso, dalle zone umide emiliane agli stagni in Toscana, ricorderebbe la fisionomia di un notabile solitario che, rimuginando, borbotta tra sé con le ali come braccia conserte dietro la schiena. Mentre se i gamberi della Louisiana, andati a sostituire i nostrani nelle acque fangose del torrente Rodano, nei pressi di Reggio Emilia, chissà come saranno arrivati lì, le cicogne sul tragitto della loro rotta migratoria hanno scelto proprio quel fazzoletto di campagna reggiana, a Gavasseto, dove al loro sopraggiungere accorrono scolaresche e appassionati.
La ricognizione prosegue, tra il riapparire nella penisola, dov’era assente da cinquecento anni, di un castoro, per ora adottato dall’Austria, e i progetti di migrazione assistita dell’ibis errante. Si dà conto delle implicazioni della coevoluzione evocando l’epopea del cinese Cinipide del castagno che, dopo alcuni decenni di indisturbate distruzioni, sembrerebbe sbaragliato dall’insetto antagonista, o la preoccupazione per la piralide del bosso che dall’Asia ha invaso i giardini all’italiana ridisegnandone la topiaria, ridotta all’essenza di foglie divorate e scheletriche nervature. Per approdare ancora nelle Valli di Comacchio, dove mai si erano visti prima d’ora quei fenicotteri che sono diventati ormai da una ventina d’anni presenza consueta. Per quanto, ancora non al punto di aver trovato un loro nome – si sottolinea – nel dialetto locale. Ma pur sempre capaci, soltanto con la loro figura, di innescare radicali cambi d’orizzonte.
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