Seguite dall’occhio della macchina da presa, una o più mosche si strofinano le zampe anteriori, sbattono le ali e camminano sulla pelle di un corpo femminile, pube e capezzoli inclusi. Nell’immagine più forte, in primissimo piano, una mosca indugia sul labbro superiore, quasi in attesa che si apra un pertugio per entrare nella cavità della bocca, come accade nei corpi senza vita. L’attrice Virginia Lust è la protagonista (ma solo dal punto di vista umano) di FLY (1970), film in 16mm a colori di Yoko Ono (1933); resta stesa, nuda e inerme su un lettino per venticinque minuti, laddove molti di noi resisterebbero pochi secondi. Il suo corpo si offre senza difese ai capricci di un insetto e al nostro sguardo. La sceneggiatura di FLY si tiene in una sola frase, tratta da Fly (Film No. 13) (1968): «Lascia che una mosca cammini sul corpo di una donna dalla punta dei piedi alla testa e voli fuori dalla finestra». La colonna sonora, inclusa nell’omonimo album uscito nel 1971, è composta dalla voce dell’artista e dalla chitarra del suo compagno e sodale dell’epoca, John Lennon. Da brividi alla schiena i vocalizzi di Ono col loro registro ambiguo, tra un canto umano stridulo e il ronzio di una mosca; una colonna sonora che contribuisce a generare disagio nel pubblico e a rendere viscerali le immagini implacabili sul corpo femminile.

«Ono descrive sia il corpo della donna che la mosca come rappresentazioni di se stessa. La mosca è associata alla sporcizia e alla decadenza, ma incarna anche il concetto di spirito libero. Ono esplora spesso il volo come atto fisico e concetto metaforico. Entrambi fungono da simboli di liberazione e di emancipazione». Così è descritto FLY in Music of the Mind (Tate Modern di Londra, fino all’ 1 settembre), una retrospettiva che ripercorre sette decenni di attività di Ono e ne restituisce bene l’ibridità della sua identità e della sua arte.

Ono non è qui solo un’artista concettuale o Fluxus, secondo una ripartizione storica che procede per movimenti, ma anche attivista, femminista, performer, poetessa, musicista, pacifista, fautrice di un’arte partecipativa, traghettatrice instancabile tra Giappone e Stati Uniti, tra sperimentazioni creative e azioni umanitarie, tra lotte per i diritti civili e promozione delle proprie iniziative attraverso i mass media (come i celebri eventi Bed-In con Lennon), tra spinte avanguardistiche e pop, tra pratiche corporali ed esperienze mentali o, per restare su FLY, tra arti visive e sonore. Notevole al riguardo la playlist dai numerosi album incisi da Ono col suo gruppo, Plastic Ono Band, dove eventi personali, come la separazione dalla figlia Koko o il lutto per l’uccisione di Lennon, si alternano a questioni socio-politiche come il femminismo della seconda ondata all’interno del quale rientra anche FLY.

Un film scaturito da una semplice istruzione e che, sotto questo aspetto, possiamo far risalire agli Instruction Paintings (1961), la prima mostra di Ono alla AG Gallery (aperta da George Maciunas) di New York, dove si trasferisce nel 1956. Dieci anni dopo, in occasione del convegno Destruction in Art a Londra, enuclea le caratteristiche salienti dell’arte partecipativa: «centrata su un evento; legata alla quotidianità; personale, parziale o presentata come incompiuta; catalizzatrice di trasformazioni creative; esistente nel regno dell’immaginazione». Non a caso lo stesso anno apre una mostra di opere etichettate come «unfinished» (Indica Gallery, Londra, novembre 1966). La voce e la scrittura completano – fisicamente o mentalmente – l’oggetto artistico, nel segno di una fiducia incrollabile nella capacità trasformativa dell’immaginazione collettiva. Che sia al grido di Give Peace a Chance o del ronzio di una mosca.