Alias

Yilmaz Guney una militanza indomabile

Yilmaz Guney una militanza indomabile

Film Festival turco di Roma Un premio alla memoria al grande regista di "Yol", una personale e un rassegna di nuovi film, commedie e cortometraggi

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 21 settembre 2013

Fino al 1992 i suoi film erano ancora vietati in Turchia, oggi il Festival del cinema turco che si tiene per la terza edizione Roma, al cinema Barberini, dal 26 al 29 settembre, dedica a Yilmaz Guney una personale organizzata dal team di Srp Istanbul sotto la direzione di Serap Engin con la presidenza onoraria di Ferzan Özpetek. I suoi film si trovano ormai anche in dvd, parecchie sono le pubblicazioni uscite nel paese e quando chiediamo ai giovani registi più interessanti se Guney ha avuto qualche influenza sul loro lavoro, la risposta è sempre stata affermativa. Sulle pagine del manifesto ne abbiamo scritto fin dagli anni ’80, nel 2010 il festival del cinema europeo di Lecce gli ha dedicato una personale, un convegno e un libro a cura di Massimo Causo. In Italia il suo nome è legato soprattutto a film di successo come «Sürü» e «Yol», girati dando indicazioni precise ai suoi collaboratori mentre era rinchiuso in prigione. La sua stessa vita assomiglia a un film. La prima volta che Yilmaz Guney conobbe il carcere era il 1961, aveva 24 anni, non appena pubblicò i suoi primi racconti, accusato di essere sovversivo per aver fatto dire a una contadina: «Se tutti fossero uguali il mondo sarebbe un paradiso». In carcere passerà buona parte della vita fino a raggiungere i cento anni di reclusione, nove anni aggiunti per ogni articolo in più pubblicato, ma soprattutto per motivi politici, accusato di aver assassinato il giudice che lo aveva condannato. Infine riuscì ad evadere e riparò in Francia nell’81, vinse la Palma d’or a Cannes e morì nell’84.

Del genere carcerario il regista conosciuto aveva fatto un filo conduttore, individuanto la prigione come condizione inevitabile in uno stato di polizia, per la povera gente, raccontando le vicende di personaggi sopraffatti dalle leggi: «in Yol ho voluto mostrare come la Turchia è diventata una immensa prigione a cielo aperto» diceva.

Il suo nome era Yilmaz Pütün, era nato nel ’37 da contadini poveri di origine curda in un sobborgo di Adana, al sud est del paese. Scelse «Sud» (Guney) come pseudonimo quando entrò nel mondo del cinema. Si era fatto le ossa cominciando a trasportare in bicicletta le pizze dei film in 16mm da un villaggio all’altro e poi facendo il proiezionista ai tempi dell’Università. Grazie alla politica della «scuola per tutti» che il governo assicurava aveva potuto frequentare, anche se non i licei riservati alle élite, anche l’università fino a laurearsi in scienze politiche. Era diventato scrittore dopo aver letto la saga di Yasar Kemal che aveva dato voce ai poveri del sud est oppressi dai signori e riscattati da un eroe. Kemal proveniva dalla stessa regione, la piana di Adana e aveva conosciuto anche lui un’infanzia misera, segnata dall’uccisione del padre quando aveva cinque anni, una quantità di lavori umili e anche lui sarà imprigionato, per aver criticato il governo sulla questione curda.

Diventerà uno dei più grandi scrittori del suo paese, candidato al premio Nobel nel ’72. La sua celebre saga «Mehmet il sottile» è stato tradotto da Garzanti nel ’61 come «Il cardo» e poi ripubblicato, una vastissima messe di ispirazione per Guney, per lo spirito di rivolta verso il potere locale e centrale. La storia di Mehmet era quella di un ragazzo, misero contadino oppresso dal potere feudale, diventato bandito amato dai poveri e temuto dai ricchi e poi tramandato come leggenda: una storia che si ripeterà spesso nei film interpretati dal regista. Fu proprio Kemal e il regista Atif Yilmar a farlo lavorare come sceneggiatore quando perse il lavoro dopo aver pubblicato i primi racconti: la nuova produzione in cui lavoravano dava ampio spazio a elementi di critica sociale, avendo anche il neorealismo italiano come punto di riferimento.

Guney diventa attore di incredibile successo arrivando a girare anche quindici film all’anno, soprannominato «Pasha nashrin», il re brutto, eroe di gangster film e melodrammi con titoli come «Il bandito gentile» (Kibar haydut, ‘66), «Il sangue scorrerà come acqua» (Ksn Su Gibi Akacak, ‘69), «Domani è l’ultimo giorno» (Yarin son Gundur, ‘71), «Fuggitivo (Kacaklar, ‘71). Nei primi film firmati da lui l’intreccio è di tipo melodrammatico, artiste di città vittime di boss maneschi e amanti non meno aggressivi, come in Umutsular (’71, Il disperato). All’uomo povero non c’è altra scelta che il delitto che porta alla prigione, per la donna rimasta sola non resta che trovare un protettore. la Costituzione di Ataturk nel dopoguerra subisce una degenerazione per quanto riguarda la posizione sociale della donna, compreso il diritto di voto molto prima che in Italia. E mentre Guney lavora sulla condizione femminile, firma film sui lavoratori del cotone (’74, Endise) o sui poveri (’75, Zavallilar) contemporaneamente nel paese si adattano commedie erotiche italiane.

«Anche se dicevano che i curdi non esistevano, che la lingua curda non esisteva, in casa si parlava curdo», diceva: i film che dirigerà non hanno bisogno di parole, quella lingua vietata è sottintesa. Per primo ha portato sullo schermo quei personaggi e luoghi ma lui che aveva una visione internazionalista della politica si definiva «turco assimilato». Così la vicenda di «Sürü» (’78, Il gregge, diretto da Zeki Okten) raccontava un episodio che accadde nel villaggio della madre, Mus che lui visitò solo a 34 anni. Guney ricordava la condizione della madre ripudiata per una moglie più giovane, picchiata dal padre, vittima anche lui dell’ignoranza e della povertà. Nel film vediamo che mentre gli uomini sono impegnati a vigilare sul compimento delle faide, le donne in silenzio lavorano incessantemente a cardare il cotone, filare, cucinare, lavare, mungere le pecore, far crescere qualcosa nella piana desertiva, trasportare legna, pascolare, preparare medicine, allevare i figli. Berivan non è riuscita a portare a termine le gravidanze, ha smesso di parlare, colpita da una profonda depressione e muore perché, secondo le usanze, non può spogliarsi di fronte al medico che è un uomo non appartenente alla sua famiglia. Tutta la vicenda si svolge nel viaggio per condurre il gregge ad Ankara, viaggio tra due epoche di distanza incommensurabile. Guney mostra molto chiaramente la discriminazione della donna nella società mediorientale, forza lavoro gratuita, sfogo della violenza dell’uomo, una discriminazione in netto contrasto con la Costituzione del suo paese.

Nei suoi film offre allo spettatore strumenti di riflessione, una possibilità di comportamento rivoluzionario. Yol dell’82 esplode come un atto di denuncia mostra gli effetti del colpo di stato del 12 settembre sulla società soprattutto per quanto riguarda il popolo curdo. Guney evase nell’81 per montare il film, conquistò la Palma d’oro a Cannes insieme a Missing di Costa Gavras. Mostra in quel film il drammatico cammino di alcuni carcerati in permesso speciale e scopriamo via via le situazioni che li hanno condotti in prigione, man mano che ci addentriamo nelle più lontane regioni fino in Kurdistan. Il film che mostra un evidente assenza di diritti umani è «Duvar» (’83, la rivolta), girato in un collegio francese, interpretato da esuli turchi implacabile nel raccontare la situazione dei bambini in prigione che sognano di avere un’amante, una pistola, un cappello.. E pregano per essere trasferiti in un altro carcere dove forse ci sarà un pallone.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento