Yiddish, l’avventuroso fascino di un idioma
SCAFFALE «La lingua senza frontiere», di Anna Linda Callow per Garzanti. Il volume percorre la lunga storia dalle prime attestazioni nella Germania del XIII secolo fino alla Brooklyn di oggi
SCAFFALE «La lingua senza frontiere», di Anna Linda Callow per Garzanti. Il volume percorre la lunga storia dalle prime attestazioni nella Germania del XIII secolo fino alla Brooklyn di oggi
Elegantissimo e commosso, stringendo tra le mani i vecchi occhiali e dei fogli spiegazzati Isaac Bashevis Singer ringraziava l’Accademia svedese per il Nobel alla «sua veemente arte narrativa che, legata strettamente alla tradizione culturale ebraico-polacca, fa rivivere la condizione umana universale». Aveva preparato due discorsi: il primo, difensivo e promozionale, fu in inglese; poi, con gesto teatrale, continuò in yiddish, una lingua parlata e scritta per secoli dagli ebrei orientali, gli «ashkenaziti», e considerata fino a quel momento dalla critica letteraria poco più di un dialetto. Il Nobel – affermava Singer – era soprattutto un riconoscimento per quella lingua di esilio, una lingua di pace e tolleranza, senza confini e spesso senza canone.
Nel suo spirito – affermava Singer – si può trovare autentica gioia, entusiasmo per la vita, struggimento per il Messia, pazienza nell’attesa e un profondo apprezzamento dell’individualità umana. È una lingua di martiri e santi, di sognatori e cabbalisti, ricca di humour e di memorie, che l’umanità non può dimenticare. In senso figurato, lo yiddish è l’idioma saggio e umile di tutti noi, la parlata della spaventata e speranzosa umanità.
A QUESTO IDIOMA, dalle radici germaniche ma scritta in caratteri ebraici, che aveva accompagnato per oltre mille anni gli israeliti nelle più diverse esperienze – dalla religiosità del chassidismo ai fermenti rivoluzionari del bund, dalle proiezioni sociali e personali delle donne a una variegata produzione letteraria – Anna Linda Callow, dedica un viaggio appassionante. Il suo libro apparso da Garzanti, La lingua senza frontiere. Fascino e avventure dello yiddish (pp. 226, euro 18,00), ricostruisce una lunga storia dalle prime attestazioni nella Germania del XIII secolo fino alla Brooklyn dei nostri giorni, quinta ideale di serie televisive di successo come Unorthodox e Shtisel che, tra curiosità,«esotismi» e simpatia, la hanno fatta conoscere.
Come guide in questa ricognizione tra luoghi lontani (lo yiddish si è diffuso dall’Italia del Nord, all’Europa centro orientale, ai molti approdi dell’emigrazione) e vite diverse, l’autrice sceglie di affidarsi ad alcuni dei personaggi che illuminano la diaspora ebraica nella Mitteleuropa: sono avventurieri del sapere, poeti, rabdomanti di santità o assimilazione, donne (anche moderatamente) emancipate, rebbe chassidici con le loro leggende, scrittori colti e cosmopoliti. O anche grandi autori capaci di influenzare la narrativa (e a tratti la cultura) americana e israeliana: da Sholem Aleichem ai Singer, a Chayim Grade e Avrom Sutzkever. Tra loro, anche intellettuali ebrei che si interrogano sul futuro in altre lingue e che Anna Linda Callow ha incontrato nei suoi percorsi attraverso la galassia degli israeliti.
Un po’ defilata, appare sullo sfondo una storia ebraica (e non solo ebraica) che condiziona nei secoli la diffusione e il senso dello yiddish. È, all’inizio, l’esigenza di mantenere viva la tradizione religiosa in comunità disperse, tra fedeli meno colti e, soprattutto, tra le donne; sono nel Cinquecento le sfide secolari di una lingua vernacola che vuole farsi letteraria; o, secoli dopo, il conflitto con gli illuministi che, soprattutto in Germania, volevano cancellarla in nome della adesione al pensiero «moderno» come anche, nella «periferia» d’Europa, la grande saga religiosa del chassidismo, che nello yiddish trovava le sue radici più profonde, o quella del bundismo rivoluzionario e antisionista.
NEL NOVECENTO, subisce tragicamente la Shoah, con la decimazione di coloro che in quella lingua parlavano e scrivevano, e la difficile testimonianza di una sopravvivenza. Vi è la creazione di Israele e la scelta dell’ivrit come lingua ufficiale di uno Stato sovrano e, d’altra parte, il radicamento chassidico nei quartieri degli ebrei ortodossi a New York o a Gerusalemme con il loro yiddish forse un po’ sgrammaticato, ma ancora estremamente vitale.
Parla anche di sé, l’autrice, delle sue scoperte e delle sue passioni invitando alla condivisione di una vicenda tutt’altro che conclusa che può vantare, tra i 400000 parlanti di oggi, sempre nuovi tentativi letterari e un immenso lascito di nostalgie, personaggi e narrazioni.
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