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Xylella, quando la cura è peggiore del male

Xylella, quando la cura è peggiore del male

Puglia La comunità scientifica divisa sulle cause della strage di ulivi secolari. Oltre al batterio, sotto accusa pesticidi e discariche. Un convegno a Lecce

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 11 aprile 2019

Da sei anni sotto gli ulivi salentini si sta consumando un dramma ambientale e sociale. Gli agricoltori del Salento avevano segnalato a partire dal 2008 fenomeni isolati di disseccamento degli ulivi, ma solamente nel 2013 l’Osservatorio fitosanitario della Puglia dichiarava che si era in presenza di un «fenomeno inedito» a cui veniva dato il nome di «complesso del disseccamento rapido dell’ulivo». Convegni, incontri, iniziative di ogni tipo hanno cercato di affrontare il problema, ma allo stato attuale non si intravede una reale via d’uscita. Quello che non si è ancora riusciti a fare è curare la malattia, consentendo la sopravvivenza delle piante infette.

L’EPIDEMIA AVANZA a una velocità di 20 km all’anno e il fenomeno del disseccamento si è esteso a nuove aree delle province di Brindisi e Taranto, coinvolgendo anche la zona meridionale della provincia di Bari. Il batterio Xylella fastidiosa è il maggiore indiziato, ma la comunità scientifica è spaccata sul ruolo che esso gioca e, soprattutto, su come combatterlo. Rimane sconosciuta la sua origine e non è chiaro perché ha scelto il Salento come dimora privilegiata. Gli agricoltori vedono morire i loro secolari alberi di ulivo e invocano soluzioni dalla comunità scientifica e dalle Istituzioni. Le misure che sono state finora proposte consistono nello sradicamento delle piante e nel massiccio impiego di pesticidi nelle aree interessate. Una logica da «guerra totale» che non è in grado di garantire un risultato positivo. Da qui il lacerante conflitto tra istituzioni e comunità locali, con ordini di abbattimento delle piante e impiego di insetticidi, ordinanze dei sindaci per impedire tali operazioni, ricorsi al Tar, nomina di un commissario straordinario che si dimette dopo pochi mesi, procedure di infrazione nei confronti dell’Italia per non aver messo in atto tutte le misure varate dall’Ue per il controllo dell’epidemia. Anche la Procura di Lecce era scesa in campo, aprendo una indagine in cui veniva ipotizzato il reato di «diffusione colposa di malattia delle piante», in relazione ad un Convegno sulle patologie vegetali, tenuto presso l’Istituto agronomico mediterraneo di Valenzano (Bari) nell’ottobre 2010, e dove erano stati portati per scopi scientifici dei campioni di Xylella. La vicenda ha ormai assunto connotati tali da farla rientrare a pieno titolo tra le «storie italiane».

L’ULTIMO CONVEGNO si è tenuto a Lecce il 28 marzo, organizzato dal Dipartimento di Scienze e tecnologie biologiche e ambientali dell’Università del Salento e dall’Accademia dei Georgofili, per fare il punto della situazione. Si è parlato della necessità di predisporre un progetto per il rilancio dell’olivicoltura salentina, attuare piani di ricostruzione del territorio, realizzazione di nuovi impianti con l’impiego di varietà di ulivi resistenti. Ma sono mancate le buone notizie: al momento non c’è una terapia risolutiva per fermare il contagio e la diffusione dell’epidemia.

IL PROBLEMA NON È SOLO il batterio Xylella, che alcuni vedono dappertutto e altri gli assegnano un ruolo marginale. Pesticidi e discariche hanno avvelenato i suoli del Salento. Pratiche colturali sbagliate hanno alterato l’equilibrio microbico dei suoli, impoverendoli di sostanza organica, con livelli talmente bassi da essere paragonati ad una zona desertica. Angelo Frascarelli, docente di Economia e Politica agraria all’università di Perugia, nel corso del Convegno di Lecce non ha usato mezzi termini nel descrivere la situazione, affermando che «l’olivicoltura salentina attraversava una grave crisi già prima di Xylella». Anche i cambiamenti climatici giocano un ruolo importante nel favorire la sindrome del disseccamento degli ulivi. Lo stress idrico dovuto alla siccità rende le piante più vulnerabili e più esposte all’attacco di agenti patogeni. In presenza di uno squilibrio idrico si modifica il microbioma della pianta, soprattutto negli alberi secolari come gli ulivi salentini. Questa relazione tra cambiamenti climatici e insorgenza di nuove malattie vegetali invasive è un aspetto che la ricerca non ha ancora approfondito abbastanza. Il disseccamento delle piante di ulivo è la conseguenza di una riduzione del trasporto idrico nel loro sistema vascolare. E il batterio Xylella, in questo processo, svolgerebbe un ruolo importante perché, quando si insedia e si riproduce nei vasi linfatici della pianta, determina la loro ostruzione, alterando la circolazione della linfa. Il batterio non è sulla pianta, ma all’interno del suo sistema conduttore, dove è difficile arrivare con sostanze in grado di renderlo inoffensivo. Sono almeno un centinaio le specie vegetali che possono essere infettate dai vari ceppi di Xylella, con diverse capacità di resistenza alla sua azione.

NEL CASO DEGLI ULIVI SALENTINI si è osservato che le cultivar più diffuse sul territorio, Ogliarola e Cellina, hanno una minore resistenza rispetto alla Leccino, che predomina in altre aree pugliesi. Xylella ha bisogno di vettori per arrivare all’interno della pianta e questo compito viene svolto dagli insetti, in particolare da tre diverse specie della famiglia delle sputacchine. Da qui le misure contenute nel decreto Martina, sulla base delle indicazioni della Ue, che prevedono quattro trattamenti all’anno con insetticidi (neonicotinoidi e piretroidi) sia nelle zone infette che nella zona cuscinetto e di controllo sanitario. L’Associazione medici per l’ambiente ha denunciato i rischi per la salute se venisse effettuato questo massiccio intervento a base di pesticidi in un territorio densamente popolato. A questo si aggiungerebbero le gravi conseguenze per gli ecosistemi. La cura prospettata sarebbe peggiore del male e l’efficacia degli insetticidi sarebbe, in ogni caso, limitata.

TUTTI CHIEDONO DI FARE PRESTO, ma non è chiara la direzione da prendere. Il problema è che il Cnr e l’Università di Bari hanno monopolizzato in questi anni la ricerca, lasciando poco spazio a studi e contributi provenienti da altri istituti di ricerca italiani ed esteri. Inoltre, non sono state prese in seria considerazione tutte le sperimentazioni che sono state attuate nelle aree dell’infezione. Sono molti gli scienziati, i ricercatori, le associazioni ambientaliste che insistono sulla necessità di allargare il campo d’indagine, perché Xylella ha le sue responsabilità, ma «non può spiegare tutto».

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