Puglia. Sono passati dieci anni da quando nelle terre salentine si è scatenata la più grave emergenza fitosanitaria causata dal microorganismo Xylella Fastidiosa, un batterio da quarantena che ha ucciso milioni di alberi di ulivo stravolgendo il paesaggio e l’assetto economico della terra tra i due mari. A oggi non esiste ancora una cura e mentre l’infezione botanica continua incessantemente a risalire verso il Nord della Puglia, la penisola Salentina combatte contro la siccità e il fenomeno dei roghi.

Difronte a questo scenario doloroso i registi Lorenzo Conte e Davide Barletti cercano di fare luce nel film documentario Il tempo dei giganti, presentato in anteprima al Sud Est Festival e nelle sale dal 16 marzo, sul percorso che ha portato il Salento a perdere i suoi alberi di ulivo, simbolo di un patto millenario tra uomo e natura. «La genesi di questo progetto nasce dalla voglia di provare a capire cosa stava succedendo. Avevamo questo disastro sotto gli occhi e inevitabilmente ci siamo interrogati sulle dinamiche che hanno portato, dal 2013 quando è stato isolato ufficialmente il batterio, al disseccamento e alla perdita degli ulivi secolari, ma principalmente ci siamo chiesti come la popolazione sta vivendo questa catastrofe – spiega Lorenzo Conte – Quando con Roberto Greco, coautore del film, abbiamo fatto dei sopralluoghi abbiamo capito che la prima cosa importante da fare era di conoscere le persone che sono state toccate da questo disastro e soprattutto cercavamo un giornalista attento che ci aiutasse in questa ricerca. Davide ci ha indicato Stefano Martella con il quale era già in contatto per altri progetti e abbiamo scoperto che stava scrivendo un libro sulle stese tematiche: La morte dei giganti (ed. Meltemi).

Così abbiamo incontrato delle persone del territorio che Stefano aveva iniziato a tratteggiare all’interno del libro; è stato un lavoro di scambio: il film ha preso un po’ di personaggi dalle ricerche di Stefano e il libro ha preso dei personaggi dai sopralluoghi del film. È stata una ricerca parallela ma diversa, dove i linguaggi e i tempi sono differenti così come l’approccio, infatti, più che un rapporto con il libro è stato un rapporto con Stefano che ci ha accompagnati in questa ricerca».

Dopo l’individualizzazione del batterio fu messo appunto il Piano Silleti che prevedeva l’eradicazione dai 3.000 ai 60.000 alberi di ulivo per arginare il contagio, ma difronte a questa decisione si sono sollevate grida di proteste e la procura ha decretato il sequestro degli alberi infetti e avviato indagini nei confronti degli scienziati che per primi avevano individuato il batterio Xylella e il suo vettore di trasmissione la «sputacchina».
«La tragedia ambientale che si sta consumando in Salento è molto complessa, innesca un cortocircuito tra le istituzioni e una frattura profonda all’interno della comunità – chiarisce Stefano Martella – Quello che ha attirato di più la mia attenzione sono state le diverse reazioni della popolazione: dall’isteria collettiva alla rassegnazione, dal complottismo ai tentativi di salvare le poche piante in vita fino al profondo bisogno di rinascita; ogni reazione evidenzia il profondo legame culturale e antropologico dei salentini con quest’albero, introdotto durante il VIII secolo a.C. Un albero divenuto importante per la produzione dell’olio lampante, tanto da determinare nel tempo una monocultura che a oggi, difronte alla perdita del polmone verde del Salento, ha dei risvolti disastrosi in vista della desertificazione del territorio».

Il film, prodotto con il sostegno di Apulia film commission, è costruito su diversi piani che intersecandosi restituiscono tutta la complessità di un caso senza precedenti «Già della sceneggiatura abbiamo diviso il documentario in tre livelli: il primo è quello dei personaggi legati al territorio come Roberta Bruno, presidente della cooperativa Karadra, il fotografo Roberto Gennaio e il contadino Enzo Marzano. Questo livello del film è l’elemento di maggiore unione con il libro di Stefano – racconta Davide Barletti – Il secondo livello del documentario, invece, è rappresentato dalle interviste che analizzano e raccontano gli eventi da un punto di vista politico, sociale e scientifico; cioè persone un po’ più esterne, ma sempre legate al Salento come il rettore Fabio Pollice e il docente di sociologia Stefano Cristante dell’Università del Salento, il direttore di National Geographic Italia Marco Cattaneo, l’ecologo e premio Nobel per la pace Riccardo Valentini, la ricercatrice Maria Saponari e l’epidemiologo Pierfederico La Notte del CNR di Bari. Il filo rosso che unisce tutti gli elementi è la voce narrante del poeta e autore Giuseppe Semeraro che racconta al padre, un ulivicoltore della Valle degli ulivi Monumentali nella Valle D’idria, la sofferenza del territorio Salentino e il pericolo del batterio che oggi minaccia i suoi alberi». Il racconto di Giuseppe non è solo la voce di un figlio che cerca di spiegare a un padre la tragedia che si sta consumando nel Salento, ma rappresenta l’urgenza di avvertire di un pericolo che può colpire e distruggere altri ecosistemi. «Fin dall’inizio abbiamo cercato di dare al film un taglio divulgativo, uno stile lontano dai nostri precedenti lavori di osservazione.

Certo per chi è interno alla storia e conosce le indagini può avere l’idea che la nostra è una lettura un po’ superficiale, ma in questo caso volevamo rientrare nei tempi televisivi e cercare di fare un documentario che potesse essere visto in tutto il mondo sperando di fare chiarezza su quello che è successo e sta succedendo nel Salento , spiegano i due registi, sicuramente una delle voci mancanti è quella della politica, ma non è stata una scelta voluta anzi, abbiamo corteggiato Emiliano per mesi e mesi senza successo. Noi siamo convinti che la politica non ha gestito o ha gestito male questo corto circuito, però è stata una vicenda talmente complessa che è normale che ci siano stati degli errori, per questo, a distanza di dieci anni, ci interessava fare l’analisi di quello che vuol dire gestire un fenomeno così complesso con tutti i limiti che oggi ha la politica, schiava del consenso immediato quindi incapace di mettere in atto politiche a lungo termine. Avremmo potuto inserire qualche intervista d’archivio, ma noi volevamo andare più a fondo e fare una riflessione con il Governatore a cui abbiamo lasciato una finestra aperta fino all’ultimo; alla fine abbiamo deciso non mettere nulla, così forse, si sarebbe colto di più il grande silenzio della politica».

Oggi il Salento è una terra arsa dalla siccità, dove gli scheletri spettrali degli alberi d’ulivo bruciano nelle calde giornate estive a causa dei roghi, un fenomeno sempre più crescente che rivela l’abbandono delle terra coltivate e la disperazione di alcuni piccoli agricoltori che il più delle volte preferiscono bruciare gli alberi morti così da supplire i costi per l’eradicazione degli uliveti che ricoprono il 40,5% del territorio. Il disastro ambientale che sta colpendo tutta la Puglia è un campanello d’allarme importante che richiede urgentemente un nuovo piano per l’agricoltura e la biodiversità, ma soprattutto la consapevolezza che le pratiche adottate fino a ora, come l’utilizzo di fitofarmaci, hanno inaridito la terra e indebolito le piante mettendo in pericolo l’equilibrio dell’ecosistema. Il contributo più importante per la riforestazione del Salento parte dal basso, dalle associazioni come Manu Manu Riforesta, Fondazione Sylva, Xfarm e Salviamo gli ulivi del Salento che lavorano attivamente per restituire un territorio nuovamente verde alle generazioni future, a cui potremmo solo raccontare che un tempo nel Salento vivevano giganti millenari.