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X, fino alla fine di tutto, e oltre

Gli X in uno scatto del 1981 (Getty Images)Gli X in uno scatto del 1981 – Getty Images

Tracce /Il nuovo «Smoke & Fiction», è il preludio all’addio alle scene dell’esplosiva punk band losangelina

Pubblicato circa 5 ore faEdizione del 16 novembre 2024

È giunta al commiato la splendida avventura degli X, una delle band più personali della scena punk di Los Angeles degli anni Ottanta. Il recente Smoke & Fiction è l’ultimo album, probabile preludio anche all’addio alle scene. La salute del chitarrista Billy Zoom è da tempo precaria e anche la cantante Exene Cervenka ha superato dure prove fisiche. Una band meravigliosa, sorta nella metropoli californiana in un’epoca molto travagliata a livello sociale e in cui la musica underground era in bilico tra pop commerciale da una parte e la violentissima e intransigente nascente scena hardcore locale (dai Black Flag ai Germs ai Circle Jerks). Exene, il bassista John Doe, Billy Zoom e il batterista D. J. Bonebrake crearono invece una formula sonora in cui, a fianco dell’energia, urgenza, cattiveria punk, inserirono country, rockabilly, blues e stupende melodie in cui le voci si fondevano e armonizzavano alla perfezione portando alla mente la coralità dei Jefferson Airplane. E in tempi in cui il passato era considerato il male assoluto chiamarono alla produzione niente meno che Ray Manzarek, tastierista di una delle band più classiche del rock tradizionale, i Doors.
Ne uscì una miscela inimitabile, esplosiva ma allo stesso introspettiva, con testi che non erano solo invettive ma andavano a scavare nelle problematiche sociali, nella disperazione degli emarginati («Ogni due settimane ho bisogno di un nuovo indirizzo, padrone di casa, tutta la nostra fottuta vita è un disastro, siamo disperati, abituatevi» in We’re Desperate), nella quotidianità («L’alba arriva presto per la classe operaia e continua ad arrivare, presto o tardi»), nella vita di strada, nel romanticismo, mettendo il tutto in poesia urbana.

IL SEGRETO
«All’inizio eravamo piuttosto autodistruttivi, ma lo facevamo per vedere l’altro lato. Era solo per cercare di vedere cosa c’è là fuori – ha dichiarato John Doe che descrive al meglio il segreto della band -. D. J. e io siamo più adattabili, essendo bassista e batterista. E io, essendo un cantautore, posso scrivere in stili diversi. Ma penso che Billy abbia portato la chitarra rockabilly nel punk rock, perché nessun altro lo faceva. Nessuno aveva le capacità o l’esperienza per farlo. Ed Exene era una cosa unica perché non era cresciuta in una band e non aveva mai cantato con armonie tradizionali. Ma alla fine ha creato un suo stile». E poi quel nome, diretto, semplice, minimale, iconico, che campeggerà sulla copertina del primo album Los Angeles dell’aprile del 1980. Una X incendiata, lugubre rimando alle croci infuocate del Ku Klux Klan. Un disco favoloso, tra i migliori in assoluto usciti dalla scena punk/new wave americana, con una versione esplosiva di Soul Kitchen dei Doors del loro produttore Ray Manzarek (che suona l’organo in alcuni brani del disco). Ci sarà ancora lui dietro il mixer per Wild Gift dell’anno successivo, meno riuscito ma sempre ad alti livelli, che stabilizza la popolarità e il profilo della band ed è preludio al loro capolavoro, Under the Big Black Sun. Undici brani che ne attestano la raggiunta maturità compositiva e stilistica. Come specifica John Doe: «Il punk rock lo avevamo già suonato. Era arrivato il momento di allargare le dimensioni della nostra musica».

IN ITALIA
Suoni potenti, ancora tanto punk, ma anche lo struggente blues Come Back to Me dedicato alla sorella da poco scomparsa di Exene, la sorprendente versione di un brano anni Trenta in chiave tex-mex, Dancing with Tears in My Eyes, e il commovente omaggio alla parte oscura della loro Los Angeles in The Have Nots, ai locali in cui si rifugiano gli sconfitti, la classe operaia distrutta da una giornata in fabbrica. Il mondo della band è perfettamente definito. Anche il taglio compositivo ed esecutivo. Exene e John Doe hanno voci riconoscibili e immediatamente distinguibili, marchio di fabbrica indiscutibile, Billy Zoom tesse trame rockabilly, accarezza la chitarra con il piglio e il gusto di un elegante membro di una band anni Cinquanta, D. J. Bonebrake è un batterista precisissimo e completo, mai banale, sempre abilissimo a creare parti ritmiche complesse.
Nel 1984 approdarono anche in Italia, dimostrando dal vivo una capacità tecnica rara in ambito genericamente punk (e anche una grandissima empatia, simpatia e disponibilità nei camerini). Rimane gustosissimo l’aneddoto che li vede fermarsi attoniti davanti a una sede del Pci, con falce e martello esibita su targa e bandiera e uscirsene con un «ma da voi è legale il partito comunista?». Peraltro il chitarrista Billy Zoom è sempre stato un fervente conservatore e cattolico praticante. Negli ultimi anni anche Exene si è inspiegabilmente spostata verso posizioni destroidi e complottiste. Nel successivo More Fun in the New World tentano una strada più commerciale con il singolo True Love, Part #2, brano sfacciatamente funky dance e una cover di Breathless di Jerry Lee Lewis. L’album è di buona qualità ma non darà le soddisfazioni sperate. Nemmeno il successivo Ain’t Love Grand per il quale abbandonano Ray Manzarek per affidarsi a un nuovo produttore che imprime al sound una sterzata verso l’hard rock, spersonalizzando l’anima del gruppo. Billy Zoom lascia la band e anche il successivo See How We Are mostra un gruppo perso alla ricerca disperata di una nuova dimensione ma senza trovarla. Le canzoni sono spesso buone ma è evidente che si è persa la fiamma iniziale, soprattutto la strada per l’agognato successo. Live at the Whisky a Go-Go segna la fine di un’epoca, mostrando quanto fossero ancora efficaci dal vivo, fedeli alle origini punk rock.

IL RITORNO
Il ritorno del 1993 con Hey Zeus! sarà un nuovo fallimento, rimanendo nella mediocrità di un suono che non gli appartiene. Fanno in tempo a pubblicare il delizioso live in acustico Unclogged con molte delle loro hit completamente rivisitate che dimostra ancora una volta quanto qualitativamente fossero ottime le loro composizioni. I componenti del gruppo si dedicheranno alle rispettive carriere soliste e ad altri progetti, per tornare insieme nel 2004 solo per l’attività concertistica, riservata quasi esclusivamente ai loro States, con qualche puntata in Centro e Sud America. Gli anni Duemila riserveranno loro parecchi problemi di salute, con la sclerosi multipla per Exene e un cancro da combattere per Billy Zoom. E infine l’ormai inaspettato ritorno discografico nel 2020 con l’energico e freschissimo Alphabetland (che include anche una collaborazione di Robby Krieger dei Doors alla chitarra, giusto per chiudere il cerchio) e il commiato con Smoke & Fiction pubblicato in agosto, altro album di pregevole fattura, immediato, meno di mezzora di musica, senza fronzoli, punk rock «come una volta», artigianale e «operaio» come si conviene.
Ora che la loro bellissima e stimolante storia è finita, resta un senso di tristezza nel perdere una realtà così affascinante, pura e originale come raramente abbiamo conosciuto. Ma è lo stesso John Doe a mettere in chiaro le cose e a suggellare alla perfezione la loro vita artistica: «L’ultima cosa che desidererei è avere trentacinque o venticinque anni adesso. Non posso parlare per tutti nella band, ma mi sento davvero fortunato, incredibilmente fortunato, ad aver vissuto e visto tutte le cose che abbiamo fatto. E vogliamo dare l’esempio di essere ancora creativi a questa età, e avere ancora fuoco, ancora passione e desiderio di creare e di essere una band».

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