Cultura

«Wonder Cabinet», resistere potenziando le forme artistiche

«Wonder Cabinet», resistere potenziando le forme artisticheInaugurazione del «Wonder Cabinet» / foto di Micol Meghnagi e Luca Bonaventura

LUOGHI Un laboratorio alle porte del checkpoint tra Betlemme e Gerusalemme. Architettura brutalista in cemento grezzo, ospita al suo interno anime molteplici. La struttura è stata progettata dagli architetti palestinesi Elias e Yousef Anastas

Pubblicato circa un anno faEdizione del 24 agosto 2023

Alle porte del checkpoint 300 che divide Betlemme da Gerusalemme, è stato inaugurato il Wonder Cabinet. Architettura brutalista in cemento grezzo e punto di incontro del Mediterraneo, il Wonder Cabinet è un laboratorio di produzione culturale che ospita al suo interno anime molteplici: arte, design, artigianato, musica, cucina. La struttura è stata progettata dagli architetti palestinesi Elias e Yousef Anastas, fondatori dell’omonimo studio. Il lavoro degli Anastas nasce da una profonda comprensione delle complesse dinamiche di un territorio specifico, ma si inscrive in un discorso che va oltre il proprio contesto, utilizzando vocabolari globalmente comprensibili.

UN APPROCCIO capace di unire mondi diversi, senza banalizzarli o farne caricatura per un più facile consumo internazionale. Il Wonder Cabinet si pone come obiettivo «quello di creare un luogo pubblico, per il quartiere, la comunità artistica locale e globale» e «libero dagli oneri finanziari delle grandi istituzioni», ci racconta la direttrice generale, Ilaria Speri. I suoi spazi aperti e dinamici ospitano lo studio di architettura degli Anastas, lo showroom di Local Industries e Radio Alhara. Anime molteplici, tutte a firma Anastas, che trovano dentro Wonder Cabinet la loro casa. Lanciato a Betlemme nel 2011, Local Industries è un marchio di arredi che produce sedie in tondino di ferro caratterizzate da linee spezzate in salsa pop. I fondatori, Elias e Yousef, indagano la pratica architettonica su ogni scala, dalla progettazione di edifici, alla concezione di nuovi pezzi di arredo realizzati da un network di artigiani locali di Betlemme.
I mobili vengono prodotti in una vecchia fabbrica dentro il campo profughi di Aida, che nel passato produceva letti per l’esercito giordano e successivamente arredi per le scuole in Palestina. L’obiettivo è quello di riaffermare il valore dell’artigianato palestinese senza congelarlo in ruoli tradizionali e obsoleti o imponendo standard estranei ai suoi metodi.

UN PROGETTO apparentemente differente ma che si intreccia alle esperienze precedenti dei fratelli Anastas è quella di Radio Alhara: nata a Betlemme nel 2020, trova nel Wonder Cabinet il suo primo spazio fisico. Era il momento dei lockdown in tutto il mondo, e sei amici decidono di dare vita ad una «communal radio», ovvero una stazione nata «dal basso» e basata sul desiderio di condividere musica e contenuti. «Ci siamo ispirati ad una web radio di Beirut a cui abbiamo chiesto una mano per imparare a trasmettere, ma anche all’esperienza di Radio Quartiere nata a Milano nello stesso anno – racconta Ibrahim Owais, co-fondatore di Radio Alhara e sound designer. «Nel sito abbiamo inserito la possibilità di chattare e questo ha creato una comunità che ascoltava musica e allo stesso tempo interagiva. Essere online ha reso globale la dimensione di questo luogo digitale». Grazie alla sua ricerca sperimentale, gli ascoltatori hanno una vasta gamma di scelta, dal pop iraniano pre-rivoluzione all’afro-funk. «La radio oggi è una comunità di oltre 300 persone, da Tokyo a New York, passando per Betlemme», spiega Ibrahim. Al Hara, in arabo, quartiere, è riuscita a penetrare in ogni angolo, con i suoi programmi in arabo, inglese, italiano, francese e una cartella Dropbox che invita chiunque a caricare un programma per la trasmissione.

GRAZIE A RADIO ALHARA è nata una rete che riunisce mondi e restituisce uno spazio alle voci soppresse. «Questo permette di immaginare nuove forme di cooperazione e di sviluppare concetti che vanno dal campo della musica all’architettura e di riflettere in modo più ampio sulla nostra condizione, guardando alle somiglianze e alle peculiarità di ognuno di noi». Collegare pensiero e azione, architettura e produzione, è l’obiettivo di Wonder Cabinet, un unicum nella regione. In Palestina si vive una duplice occupazione: quella militare israeliana e quella interna alla propria comunità. «Le restrizioni di movimento dovute all’occupazione militare hanno un forte impatto sui nostri progetti» continua Ibrahim. Sono numerosi gli artisti palestinesi che si sono trasferiti all’estero negli ultimi anni. Succede spesso che ad artisti provenienti da paesi limitrofi, venga negato l’ingresso in Israele per motivi di sicurezza. Una pratica volta ad isolare ed annichilire ogni forma di espressione culturale.
Il Wonder Cabinet rappresenta uno strumento di lotta contro l’occupazione militare. «Ma non vogliamo essere didascalici» – conclude la direttrice Ilaria Speri. L’idea è quella di resistere attraverso la cultura, potenziando la produzione artistica palestinese, invece di imporre sempre la dicotomia tra Israele e Palestina. «Vediamo che cosa accade quando si forniscono gli strumenti necessari e uno spazio fisico e sicuro alla comunità».

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