Visioni

Womex, festa della musica tra tradizioni e suoni globali

Womex, festa della musica tra tradizioni e suoni globaliAli Dogan Gönultas – foto di Eric Van Niewland

Festival Conferenze, live set, incontri: quest’anno la fiera itinerante celebra la 30esima edizione

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 1 novembre 2024
Ciro De RosaMANCHESTER

La Fiera itinerante (il prossimo anno virerà nella finnica Tampere, già ospite dell’edizione 2019) segna la sua trentesima edizione a Manchester, culla della rivoluzione industriale, simbolo di lotta ma anche di repressione a partire dal massacro di Peterloo, divenuta meta cool per la sua vibrante scena culturale e musicale. A disposizione dei delegati, i «womexicans» che, tra conferenze, film, networking sessions e incontri ufficiali e informali, si interrogavano su quale sia stato il miglior Expo di sempre, il Manchester Central Convention Complex, un tempo principale stazione ferroviaria. Manchester Central è stato la sede della fiera, del palco degli showcase diurni e del Theatre Stage serale. Nonostante i numeri lusinghieri sciorinati da Piranha Arts, organizzatrice della kermesse, si è riscontrata una sensibile flessione nelle presenze degli addetti ai lavori.

SI PUÒ PENSARE che anche le selezioni della giuria dei cosiddetti Samurai abbiano dovuto fare i conti con l’annosa questione delle politiche dei visti post-Brexit e con le conseguenze dei conflitti in corso (tra l’altro una conferenza dal titolo Music in Times of War, è stata dedicata proprio all’impatto della guerra nella Swana sulla diaspora araba e sulla mobilità degli artisti). Così, se nel complesso la manifestazione che mira a promuovere il dialogo tra le culture ha mantenuto le aspettative, va anche detto che il palinsesto degli showcase ha privilegiato un ampio ventaglio di artisti dal Regno unito multiculturale saliti on stage in larga parte all’Albert Hall, l’ex cappella metodista grandiosamente decorata e riconvertita in splendida sala da concerti. Qui, Amy Laurenson, pianista delle Shetland, ha aperto le danze con il suo stile che oscilla tra influenze della sua terra d’origine, classiche e jazz. Notevole anche il set di Cerys Hafana, polistrumentista che riarticola la musica tradizionale del suo Galles esplorando le qualità timbriche dell’arpa tripla, senza rinunciare a elaborazioni elettroniche. Sempre in ambito progressivo, il Córas Trio, da Belfast, decostruisce le danze tradizionali ricombinandole con linguaggi jazz e improvvisativi.
Come per ogni Womex, per sorprese e scoperte occorre spesso rivolgersi alle più raccolte esibizioni del Daycase Stage, delle quali ne scegliamo tre. Anzitutto, le polifonie femminili del quartetto georgiano Pankisi Ensemble; il gruppo intende preservare e sviluppare espressioni vocali della musica cecena, tra cui canti epici, canti religiosi sufi e canzoni d’amore. Il duo Madalitso Band, dal Malawi, si presenta con voci call&response, chitarra ritmica a quattro corde, tamburo percosso col tallone e babatone, un basso slide monocorda dal manico molto lungo, suonato da seduti, con funzione melodica e propulsiva. Sebbene avaro di variazioni armoniche, seduce il loro sound incalzante e mesmerico. Infine, nomen omen per il trio coreano Maegandang. Due ragazze e un ragazzo, tutti e tre appena trentenni, impressionano per la capacità di reimmaginare le tecniche delle loro cetre gayageum e geomungo, del violino verticale haegeum e del tamburo.

Le polifonie del Pankisi ensemble, dall’Anatolia Ali Dogan Gönultas
Passando al Theatre Stage, superlativa la performance di Ali Dogan Gönultas, originario delle montagne dell’Anatolia orientale, di famiglia curda alevita. Canta accompagnandosi al tembur e insieme a un trio di valenti strumentisti (duduk, ney, zurna, clarinetto e tamburo). Scava in un canzoniere che attraversa il tempo, apprezzato per le sfumature del suo timbro vocale, in uno stile avvolgente e ipnotico, a tratti declamatorio, tipico dei cantori tradizionali. Coup de cœur per l’Ensemble Chakâm, che unisce la brillantezza del târ di Sogol Mirzaei (Iran) con il qanoun di Christine Zayed (Palestina) e la viola da gamba di Marie-Suzanne de Loye (Francia), presentando composizioni costruite intorno ai modi del maqam, ai codici del radif e della musica barocca: voci e corde in un raffinato e compiuto dialogo.

Ensemble Chakam, foto di Yannis Psathas

NEL FITTO calendario di spostamenti tra le varie venue, che hanno accolto un totale di più di sessanta showcase, ricordiamo il trionfante set dei senegalesi dell’Orchestra Baobab, cinquant’anni di carriera all’insegna dell’afflato afro-cubano, e l’approccio sacerdotale del cantante oungan, etnologo e coreografo haitiano Erol Josué. Sempre in tema di teatralità, gli istrionici nippo-berlinesi Mitsune spingono i canti tradizionali min’yo verso il prog e la psichedelica. Tra le artiste si impongono il respiro creolo di Votia, nel segno del maloya di La Réunion, il rock nativista della guatemalteca Sara Curruchich, la fusion di Elaha Soroor e Kefaya, figlia di rifugiati afghani Hazara, e il gran temperamento della portoghese Cristina Clara, proiettata nella fusione di idiomi tradizionali lusitani, jazz e umori capoverdiani e brasiliani.
Agli Aviva Studios, nuovo spazio culturale di riferimento per le arti della città di Manchester, sono stati allestiti tre palchi, tra cui quello dell’Off-Womex (fuori selezione ufficiale). Tra selezione ufficiale e concerti Off, si segnalano la spumeggiante violinista e chitarrista irlandese Clare Sands, accompagnata dalle uilleann pipes di Conor Mallon, la fine chanteuse nord-macedone Zarina Prvasevda, vincitrice dell’Award 24 della piattaforma Upbeat, e Sahra Halgan, voce indomita del Somaliland, che guida un trio francese (chitarra, tastiera vintage e batteria) creando un mélange che accoglie scale pentatoniche, ethio-jazz e fervore punk. Ancora, si prende la scena la dirompente anima greco-anatolica dei ciprioti Buzz’Ayaz, che si muovono su una base electro con passaggi psych e hardcore con l’intento di abbattere i muri culturali di Nicosia.

CHE DIRE poi del set fulminante di Justin Adams (chitarra elettrica) e Mauro Durante (violino, voce e tamburello)? Un’empatica, formidabile confluenza di blues, rockabilly, post punk, stralci chitarristici sahariani e trance danzante del Salento. L’Expo si è concluso con il rituale commiato domenicale cui è seguito il concerto di Nave Mãe, la band di Hermeto Pascoal, che non è intervenuto di persona per ricevere il Womex Artist Award 2024 – ritirato dal figlio, il percussionista Fábio – come riconoscimento per i suoi 74 anni di carriera di musicista e compositore dalla straordinaria visione artistica.

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