Il cinema d’animazione dipinto su celluloide è uno dei cavalli di battaglia di Witold Giersz ed è stato premiato nel corso della sua carriera a Edimburgo, Oberhausen e Cannes. Nessun senso di fastidio nelle sue risposte, neanche quando gli chiediamo se il cinema d’animazione per bambini possa essere una faccenda noiosa per un instancabile sperimentatore.

Gli anni passano anche per lui ma Giersz è sempre innamorato del cinema western e degli alberi della sua tenuta di campagna che dista 30 minuti di auto da Varsavia. E meglio evitare di parlare del clima politico in patria da quando il partito della destra populista Diritto e Giustizia (PiS) è in sella al paese.

Difficile comunque soprassedere sugli effetti della “lex Szyszko“ (provvedimento che porta il cognome del Ministro dell’Ambiente polacco ndr) che ha autorizzato l’abbattimento di almeno 500.000 alberi sul suolo privato polacco nei primi sei mesi dell’anno.

Noi lo abbiamo incontrato più a sud, sempre lungo la Vistola, alla 57ma edizione del Krakow Film Festival che gli ha dedicato una retrospettiva a giugno scorso.

Perché il cinema d’animazione e non un’altra disciplina artistica?

A 10 anni stravedevo per il cinema di Walt Disney e sognavo di lavorare in uno studio d’animazione oltreoceano. Da adulto mi sono poi ritrovato sposato con un figlio e un impiego statale. Avevo anche dato l’esame di ammissione alla facoltà di medicina ma poi non sono entrato. Ad un certo punto avrei dovuto inventarmi qualcosa per evitare il servizio militare e così nel 1956 sono entrato nello studio d’animazione di Bielsko Biala.

Il suo non è un “cinema da pittore“ ma piuttosto un “cinema di pittura“. E’ d’accordo con questa affermazione?

Per me la pittura è sempre stata un mezzo e non un fine. Sono curioso di vedere Loving Vincent (2017). Un film d’animazione interamente dipinto a mano e dedicato a quel genio di Van Gogh. Non le pare un progetto interessante? Quando ho lavorato nello studio di Poznan per ben 7 anni abbiamo animato alcuni dei dipinti più rappresentativi di Chagall. Ma quello che voglio davvero è coinvolgere gli spettatori nel processo di animazione attraverso la pittura. Ai pennelli preferisco la spatola che mi permette di lavorare in modo più spontaneo e disinvolto. Dopotutto non sono mai stato una persona eccessivamente precisa nel disegno e nella pittura.

Il tema dello scontro tra “wilderness” e “civilization”, archetipico del genere western ritorna spesso nella sua produzione. Penso a Horse (1967) o al più recente Signum.

Signum ad esempio è un progetto che ritengo affascinante nato dal mio interesse per la pittura primitiva. Ho avuto la possibilità di visitare la grotta di Tito Bustillo durante un soggiorno in Spagna. Nel cinema d’animazione ci sono stati molti tentativi di animare i dipinti rupestri impiegando diversi supporti e tecniche a passo uno. Io ho scelto di utilizzare la pietra per schizzare queste straordinarie figure di caccia sopravvissute ai millenni.

Tra le tecniche di animazione ve n’è forse una che le procura più piacere, al di là di ogni risultato estetico?

Mi piace procedere “per levare“ lavorando su un solo supporto che sia vetro o pietra per poi cancellare o modificare l’immagine creata in precedenza. Difficile trovare un modo più espressivo di procedere almeno per me. Mi vengono in mente le fiamme dipinte del mio Fire (1976) che agiscono in modo aggressivo sul pubblico. Per il regista d’animazione polacco Kazimierz Urbanski è la tecnica a generare una storia, e non viceversa. Penso alle sue figure realizzate con fili di lana oppure alle conchiglie e ai sassolini che hanno stimolato l’immaginazione di Jan Svankmajer. Nei miei anni a Poznan ho conosciuto Aleksandra Korejwo che ha realizzato dei cortometraggi incredibili utilizzando del sale colorato in diverse tonalità.

Si può dire che il linguaggio del cinema d’animazione fosse al riparo dalla censura durante il comunismo, almeno rispetto a quello del cinema di finzione?

In effetti i lavori di animazione attiravano poco l’attenzione dei censori in quegli anni. Allora era più facile camuffare un messaggio o un’idea ostile alle autorità attraverso questo medium proprio per la natura meno realistica del cinema d’animazione fatto di metafore plastiche. Eppure alcune opere animate a passo uno sono rimaste a marcire sugli scaffali. A Bielsko Biala per esempio Miroslaw Kijowicz ha avuto alcuni problemi. Se il suo Wicker Basket (1966) ha incontrato il “nie“ della censura è stato soltanto per la somiglianza del protagonista del cortometraggio con Stalin e non per il fatto che quest’ultimo venga fatto a pezzi e gettato in un cesto di vimini dalle proprie bambole ribellatesi al proprio padrone. Essere “artisti contro“ aiuta a tirare fuori la creatività. I film migliori di Tarkowski non sono stati certamente quelli realizzati da esule.

Parliamo adesso di Little Western uno dei primi cartoon western nella storia del cinema di animazione dopo il burlesco Song of the Prairie (1947) diretto da Jiri Trnka.

Il film di Trnka è stato realizzato come molti altri suoi lavori utilizzando dei pupazzi animati a passo uno. Se non mi ricordo male la palma spetta però al regista croato Dusan Vukotic con il suo Cowboy Jimmy (l’opera di Trnka precede di un decennio quella di Vukotic ndr). A onor del vero quando ho realizzato Little Western non ero a conoscenza di questi lavori. Per me il western era soltanto uno sfondo anche se poi in fondo sono un amante del genere.

Come è stato accolto il suo capolavoro Red and Black, un’irriverente corrida dipinta su pellicola in cui Lei appare improvvisamente in scena?

Nel momento in cui il toro nero sposta lo specchio ho pensato che sarebbe stato interessante mostrare in live action me stesso al lavoro invece di riflettere la figura del toreador rosso. Se Red and Black non è piaciuto a tutti è proprio per la mia irruzione in scena, una chiara violazione delle convenzioni del cartoon. Nessuno però mi ha accusato di individualismo in patria. A Oberhausen invece il film è stato letto da alcuni come una metafora del conflitto tra la Chiesa polacca rappresentata dal Cardinale Wyszynski in nero e il potere comunista in rosso. Alla fine dell’opera li rispedisco entrambi nella stessa bottiglietta di colore.

Trovo che i suoi lavori siano molto violenti non tanto nel contenuto ma nella forma.

E una violenza tutta cromatica quella che si vede in Little Western e Red and Black. Il cinema di animazione può essere violento da un punto di vista dei colori e delle forme. I protagonisti di Little Western sono dei colori ancora prima di essere dei cowboy. D’altro canto anche il western classico a volte ricorre ad una simbologia ben precisa. In Vera Cruz (1954) di Robert Aldrich il costume del villain hero interpretato da Burt Lancaster e il suo destriero sono rigorosamente neri. Che poi io abbia scelto una macchia rossa per schizzare l’eroe di Little Western è soltanto una questione di gusti.

Nel suo cinema materico è difficile trovare metafore. L’opera di Giersz è forse scomoda nella forma ma non nei contenuti?

Non sono mai stato un formalista ma mi sento più vicino a Urbanski che preferiva partire dalla materia inanimata. L’opera di Jan Lenica e mi riferisco in particolare a Labyrinth (1962) resta ineguagliata sul piano dei contenuti almeno in Polonia. Nessuno come lui è stato in grado di raccontare a passo uno l’oppressione del potere e i meccanismi di controllo del totalitarismo sull’individuo. Ma nel cinema d’animazione polacco non vale regola “tale padre tale figlio”. Lo stesso Urbanski ha avuto tra i suoi studenti a Cracovia anche Jerzy Kucia e Ryszard Czekala, due autori tutt’altro che formalisti. Prendiamo ad esempio The Roll-Call (1970) di Czekala che racconta con dei ritagli di carta una fucilazione in un campo nazista. Il suo film riesce a suscitare emozioni uniche che nemmeno la migliore pellicola bellica di finzione riuscirebbe a trasmettere. I miei lavori invece risultano più diretti e aggressivi da un punto di vista dello stile.