La creatività è possibile se si ha accesso al bambino che eravamo, è lì che si nutre la nostra capacità di inventare». Wim Wenders parla con voce pacata, è appena arrivato a Bologna dove fra poche ore presenterà in Piazza Maggiore The Searchers – che ha aperto ieri il Cinema Ritrovato, il festival bolognese divenuto ormai un appuntamento imperdibile per amanti degli archivi e della memoria del cinema ma anche per coloro che ne colgono qui la possibilità di rivederne la storia in ri-sistematizzazioni critiche la mettono in dialogo col presente. E la conferma viene dai numeri che in questa edizione ancora prima di contare appaiono molto affollati con proiezioni tutte sold out da settimane e molti nomi del cinema contemporaneo a presentare quei film decisivi nella loro formazione – da Alexander Payne che ha scelto Merlusse di Marcel Pagnol a Damien Chazelle che introdurrà Le parapluies de Cherbourg di Demy.
«I film li ho scelti per rivederli nel modo giusto anche se sfogliando il programma li avrei presentati tutti» dice ancora Wenders. È insomma il piacere della visione da amante del cinema ciò che ha guidato la sua «carta bianca», i Sentieri selvaggi di Ford Wenders lo aveva visto tanti anni fa, in una copia «piena di graffi», come Il passo del diavolo di Anthony Mann. Era un 35 millimetri nella prima retrospettiva che gli avevano dedicato. Mann è stato uno dei miei maestri anche se lui non lo sa. Ho imparato dai suoi film il linguaggio cinematografico». Naturalmente non poteva mancare Ozu, di cui ha scelto Sono nato ma…, il regista giapponese amatissimo e più volte omaggiato da Wenders è anche ispirazione per il suo Perfect Days che ridisegna la geografia dei luoghi e dei personaggi di Ozu nella capitale giapponese oggi. A proposito: si aspettava il successo del film, che ha avuto anche la nomination all’Oscar nella categoria dei miglior film internazionali? «Sono stato il primo a stupirmi da questo risultato non credevo che la storia di un uomo che pulisce i bagni pubblici a Tokyo andasse così bene col pubblico. Mi piace moltissimo la città, è stato bello lavorare su quel set, mi piaceva quel progetto e sono stato felice che sia arrivato a tanti altri nel mondo».

CINEFILO Wenders lo è sempre stato, e lo è ancora: si parla ad esempio di Megalopolis di Coppola: «L’ho visto a Cannes, è un film magnifico con qualche difetto ma solo quelli mediocri non ne hanno. Francis ha avuto un grande coraggio a realizzarlo assumendosene tutti i rischi». Questa passione per il cinema – Wenders è stato anche critico – è già nei suoi inizi – Alice nella città, 1974: Falso movimento, 1975; Nel corso del tempo, 1976- on the road dei sentimenti sulle strade d’Europa che guardavano all’America del cinema, del rock, dell’irrequietezza di una generazione tedesca nata durante la guerra (lui è del 1945), che sognava altri orizzonti e che con la propria storia, o meglio con quella dei genitori, si confronterà ciascuno a suo modo. Wenders nel movimento che, appunto, dalla Germania ancora divisa lo porta a lavorare a Hollywood con Hammet (1982) e ai legami con registi amati con cui è cresciuto come Nick Ray. Per poi arrivare a Tokyo cercando Ozu in un altrove che sa di impossibile futuro – Tokyo-ga (1985) tornando infine a Berlino.Ma questa è ancora un’altra storia.

L’AMERICA è Paris, Texas (1984, Palma d’oro nello stesso anno a Cannes) di cui si vedrà in anteprima al festival il restauro – sarà poi distribuito in sala dalla Cineteca di Bologna il prossimo autunno. «Sono stato davvero fortunato in quel film a poter lavorare con alcuni degli artisti per me più geniali del Novecento come Sam Shepard che era una persona meravigliosa, di grande libertà, un bravissimo scrittore ma anche un attore di talento. Lo avrei voluto già in Hammet ma gli studios si serano opposti dicendo appunto che non era un vero attore. E poi Ry Cooder un musicista che ha la capacità di recuperarefigure centrali nella storia della musica. E Henry Dean Stanton e Robbie Mueller che avevo ritrovato per questa occasione».